venerdì 15 gennaio 2016

Amedeo Trivisonno, il pittore degli angeli


di Rita Frattolillo


Era il 1993 e Amedeo Trivisonno aveva alle spalle ottantotto primavere quando lo incontrai per quella che fu una delle sue ultime interviste.
 Si sarebbe spento due anni dopo, il 28 dicembre ’95. Quando lo vidi, mi sorprese  lo sguardo: libero e penetrante. Uno sguardo limpido, ancora giovane, che gli illuminava il volto aperto, in contrasto con la barba e i capelli candidi. L’inseparabile basco scuro non era una civetteria d’artista, ma la sua dichiarazione d’amore all’arte, un amore a cui è rimasto fedele fino alla fine, e al quale – mi confidò con sicurezza – si sarebbe dedicato di nuovo, se mai fosse tornato a nascere. Perché, mi spiegò, per lui l’arte era natura, bellezza e vita, e una consolazione senza eguali nei momenti difficili.

 Ma come era nata la passione per l’arte?

In casa, mi rispose; da quando aveva memoria ricordava il padre Pietro, pittore e decoratore, trafficare tra  pennelli e tele. Era stato lui a intuire il dono del piccolo Amedeo, spingendolo verso il mondo della pittura.
 Ma l’ispirazione più autentica – intrisa di spiritualità e misticismo – che lo ha consacrato al mondo come “pittore degli angeli” era nata una notte del lontano 1910, quando Amedeo, sei anni, vide il cielo di Campobasso - città in cui era nato il 3 ottobre 1904 - illuminato dal bagliore della cometa di Halley, la stessa che la tradizione religiosa indica come guida celeste dei re Magi.


 Al bambino mancò il fiato per l’emozione,  rimase in estasi a lungo, folgorato davanti alla scia impalpabile che prendeva un quarto di cielo. Il giorno dopo, a scuola, col dito sul gessetto bianco, si sforzava di sfumare sulla lavagna il velo della cometa. Una visione che gli era rimasta impressa nel profondo, tanto che essa compare, diafana, lattescente, in diverse opere, come la preziosa Adorazione dei Magi” che possiamo ammirare nella cappella del Convitto “M.Pagano” di Campobasso. Probabilmente è da quel 1910 che la sua mente aveva iniziato a nutrirsi con i  testi sacri dell’Occidente cristiano che in seguito avrebbe raccontato in opere di impressionante fedeltà testuale e di grande armonia compositiva.

E’ notevole che tutta la  produzione di Trivisonno rimandi in maniera compatta all’ideale di bello espressivo, andando controcorrente per quasi un secolo; aveva  resistito senza tentennamenti alle sirene avanguardistiche che si  affacciavano via via sulla scena delle arti visive.
 Non era tipo, il Maestro, da dispensare opinioni o trinciare giudizi, ma la sua proverbiale mitezza si venava di inflessibilità quando qualcuno parlava di correnti artistiche contemporanee…Questo perché lui, che da giovane aveva frequentato l’Accademia romana, e affermava di non esserne stato formato, si dichiarava urbi et orbi  influenzato dalla lezione dei Grandi del Rinascimento – anzitutto Leonardo – al punto da fare propri i canoni estetici della tradizione neoclassica.
Non era un caso se parlava malvolentieri degli allievi che lo avevano “tradito” per aver intrapreso altre strade, come Gino Marotta ed Antonio Pettinicchi, entrambi divenuti famosi grazie al loro indiscusso talento.. Ed entrambi rimasti intimamente legati al loro maestro, malgrado la diversità delle scelte artistiche.
In particolare, nel corso di una conversazione (rivista “Molise”, n.10, marzo 1993), Marotta aveva affermato: “Ho avuto un’infanzia eccezionale grazie a quell’uomo bellissimo, dall’aspetto mistico e dalla barba michelangiolesca. Una volta mi portò con lui a dipingere nella chiesa di Baranello: il ricordo di quelle impalcature, di quell’odore di calce è la cosa più indimenticabile della mia infanzia da bottega rinascimentale. (…) Nessuno al mondo – dico al mondo-- detiene oggi un magistero pittorico più alto del suo. De Chirico, il pittore che amo di più, conosceva Trivisonno e una volta mi disse che era uno dei pochi a sapere le ricette giuste.”

In queste “ricette” entrava, senza alcun dubbio, la costante ricerca della perfezione, ma facevano la loro parte la serietà e la coerenza.
 Queste, infatti, le componenti essenziali che spiegano ancora oggi, a distanza di vent’anni dalla sua morte,un successo costruito giorno dopo giorno dal Nostro con tanta determinazione da riuscire a varcare i confini nazionali. In tempi in cui non esisteva il tam tam  del global network, e in primis dei social…
La tele e gli affreschi da lui firmati, oltre ad essere sparsi, come è naturale, in molti paesi del Molise, sono custoditi  principalmente a Foggia, Benevento, Verona, Milano, e all’estero, a Londra, e al Cairo (dove Trivisonno aveva insegnato per oltre dieci anni nel Liceo italiano).

Anche se abitava a Firenze dal ’56 - con  Annamaria, uno dei suoi otto figli avuti dalla bella e prosperosa moglie, da lui effigiata con amore in diverse opere, morta troppo presto -  non aveva mai dimenticato il Molise, immortalandone i castelli  e  le acque burrascose del Biferno. Anzi, più di una volta  si era lamentato dell’indifferenza nazionale verso la sua  “ terra, nascosta agli occhi dei turisti e delle persone di cultura”; ma era abbastanza obbiettivo da  riconoscere i difetti più vistosi  dei suoi conterranei, che per lui erano l’apatia, la flemma. E gli piaceva citare in proposito quell’aneddoto: “Cosimo.. il terremoto!”
E Cosimo: “ Mò…mò…”

 Negli ultimi anni passava le estati a Castelpetroso per attendere agli affreschi nel Santuario dell’Addolorata, e approfittava per tornare qualche giorno a Campobasso, la città che lo ha sempre degnamente onorato, e dove  ancora oggi è vivo il ricordo della corale  partecipazione della sua gente che venne in massa a omaggiarlo per l’ultimo, commosso saluto.

A conclusione di quell’intervista, nel congedarmi dal “pittore degli angeli”, trovai il modo di chiedergli quale messaggio avrebbe voluto lasciare ai giovani.
E la sua risposta fu all’altezza di chi, per la sua eccezionale esperienza di vita, aveva raggiunto una lungimiranza che è dono di pochi. Anzitutto - disse-  avrebbe  raccomandato ai giovani di amare il proprio lavoro, di avere la coscienza a  posto, di aiutare gli altri, cercare di dare fiducia.
 Aggiunse con calore che era necessario “curare il pianeta malato, saccheggiato da mille abusi e da molte cecità. Se non si corre ai ripari, il globo terracqueo scoppierà.”
Invitava infine alla tolleranza: “A Oriente come a Occidente, malgrado l’apparenza di vestiti e usanze diversi, siamo tutti uguali, buoni e cattivi, con i nostri pregi e difetti. Dannoso, oltre che sciocco, sentirsi superiori; impariamo piuttosto a convivere con gli altri popoli, in un mondo che ci deve accogliere tutti.”

Pensieri che, trattando temi percepiti allora come di là da venire, suonarono più o meno alla stregua di un’eccentricità d’artista, ma che oggi, alla luce delle drammatiche emergenze che stiamo vivendo, sembrano quasi profetici  per la loro pressante attualità.

Rita Frattolillo© 2016 Tutti i diritti riservati









1 commento:

Anonimo ha detto...

Quando si utilizzano fotografie scaricate da un altro sito web sarebbe opportuno indicare la fonte! Soprattutto se non si è chiesta l'autorizzazione!