mercoledì 26 settembre 2018

Nei luoghi del commissario Montalbano



                             

                            Rita Frattolillo


Mettere piede in Sicilia è sentirsi avvolti dal rumore delle civiltà che hanno attraversato i secoli lasciando in eredità straordinaria traccia di sé nel patrimonio storico-architettonico, nelle tradizioni e nella gastronomia.
 Ma quello che ti strega da subito percorrendo la rete stradale è la successione di dolci rilievi alternati a piane sterminate coperte di agrumeti; dappertutto, le distese infinite di fichi d’india che interrompono con pennellate rosse qua e là il verde dominante. Ci addentriamo nella Sicilia orientale, terra già abitata nel III millennio a.C., calpestata da greci, romani, arabi, normanni, svevi, angioini, spagnoli e via discorrendo. Vestigia antiche, come quelle di Siracusa, Catania, Piazza Armerina, convivono con una quantità impressionante di palazzi storici -specie del Sei/Settecento- ed è grazie a loro che diverse città, come Modica e Ragusa, fanno parte del patrimonio Unesco.
 E le chiese? Nei soli giardini iblei, làscito di nobili alla comunità di Ragusa Ibla, che si era dovuta trasferire dalla cittadina Superiore dopo il devastante terremoto del 1693, sorgono ben tre chiese. Tutte curate e lustrate, come quella di S.Giacomo, gemellata con la chiesa di S.Jago di Compostella; l’attento sacrestano lascia un attimo il piumino con cui sta spolverando le panche per raccontare del Crocifisso ligneo che nessuno mai oserà spostare dal suo altare, dal momento che fu ritrovato intatto sotto le macerie.

  Certo, anche qui a Ragusa non mancano le fazioni, come in tutti i nostri paesi: così ai sangiovannari (quelli della cattedrale eretta dopo il terremoto, con annesso vescovado, a Ragusa Superiore) si oppongono i sangiorgiani (quelli di Ibla, nella cui pazza si erge il Duomo di S.Giorgio progettato dall’architetto Gagliardi, che ha lavorato molto in tutta la val di Noto). Tra le due agorà, oltre 250 gradini da percorrere con lo sguardo affondato nel panorama straordinario delle colline coperte di tetti a varie quote, tra cui spiccano decine di campanili e le belle facciate dei tanti palazzi importanti in pietra calcarea. Pietra che può essere bianca o nera (“pietra pece”, la chiamano, e il suo colore si deve alla presenza del petrolio), con un bell’effetto cromatico.


 Nel record delle presenze turistiche, a vincere la hit è sicuramente Ibla, che ha conosciuto un’impennata senza precedenti grazie alla fiction tratta dai romanzi sul commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Perché Ragusa è la Vigata dei romanzi, e allora mi chiedo se l’anziano scrittore avesse mai previsto un simile successo. E così i flussi turistici si spostano da una piazza all’altra con il naso per aria, rapiti dalle facciate barocche delle chiese e dalle mensole dei balconi Sei/Settecenteschi abbellite dagli straordinari rilievi antropo/zoomorfi. Ma come fare a meno di visitare il piccolo teatro privato del barone Francesco di Donnafugata, dove ultimamente gli orchestrali della Scala hanno rappresentato nientemeno che un’opera rossiniana? E, soprattutto, come ignorare il Circolo di Conversazione, nato nel 1830 sul modello dei club intellettuali inglesi per volere del medesimo barone e di altri 18  ragusani?


 Il Circolo merita la visita perché la sua sala di rappresentanza, principesca con le sue preziose tappezzerie bordeaux, specchi, lampadari con intrecci di foglie bronzee a imitazione di quelle di zucca (che nella cucina ragusana è un must), compare in alcune sequenze della fiction come sala da gioco dove si intrattiene volentieri il medico legale Pasquano. E impressiona poco sapere che le donne siano state ammesse al Circolo nientemeno che nel 1974, né attrae la targa che celebra la pur generosa fondatrice dell’ospedale di Ragusa, Maria Paternò Arezzo, pronipote del barone Francesco, morta durante il terremoto di Messina.
 Ma se i ragusani vantano una cinquantina di chiese, Modica ne conta un centinaio, tanto da meritare l’appellativo di “città delle cento chiese”. E dire che anticamente era attraversata da tanti corsi d’acqua- poi tombati -da essere chiamata la “Venezia del Sud”, e contava gran quantità di mulini.  L’intreccio delle etnie e delle religioni emerge non solo dalla incredibile varietà architettonica, ma anche dalla ricchezza dei templi, perché non di rado i mecenati, pur se islamici o ebrei, hanno contribuito lautamente all’abbellimento delle chiese. Ad esempio il duomo di San Pietro, nel cuore della città bassa, deve il suo splendore artistico anche alla generosità di alcune dame, tra cui una baronessa islamica del XVI secolo, che (vox populi) donò 1500 chili d’oro al tempio. Naturalmente, la dama - Petra Mezzara - non solo ha trovato eterna dimora nel duomo, ma l’evento è commemorato in un dipinto rappresentante una campana accanto alla luna islamica. Come se non bastasse, il duomo, in origine dedicato alla Vergine, è stato poi intitolato anche a lei, Petra, giocando con il nome del principe degli apostoli. Davanti alla scenografica scalea ogni anno, durante la Pasqua, si celebra, tra una moltitudine tripudiante, l’incontro tra la Madonna e il Figlio risorto: è la rappresentazione sacra della Madonna Vasa[bacia] Vasa.



Anche a Modica, come a Ragusa, è un saliscendi continuo tra la città alta e quella bassa, tra vicoli e scorci improvvisi di facciate incredibili di chiese barocche precedute da scalee disseminate di statue di santi. La mia meta, qui, è la casa museo del premio Nobel 1959 Salvatore Quasimodo, che custodisce foto, documenti e ricordi del poeta; una volta dentro, mentre guardiamo le lettere e gli oggetti in mostra, una voce registrata recita qualche verso, ad accrescere la suggestione del luogo.
Sbucati in strada ci inoltriamo tra la calca. Ovunque, folla e vita, negozietti e bazar di gusto arabo che esibiscono secondo l’uso orientale le loro meraviglie, e le ceramiche coloratissime; ovunque e a tutte le ore puoi gustare le favolose granite al “granado” (il melograno, qui si è conservato il nome spagnolo), oppure gli arancini di Montalbano e i cannoli alla ricotta, o le “scacce”[sorta di focacce imbottite]. E poi, Modica, capitale di un’antica, vastissima e potente Contea che persino Federico II tenne nella dovuta considerazione, ha un altro asso nella manica, ed è la sua famosa cioccolata, ottenuta con una ricetta spagnola di lontane origini azteche; in tutti i formati e gli aromi, minuscole schegge della dolce leccornia fanno bella mostra di sé, pronte a catturare i golosi per l’assaggio. 

                                        Certo i siculi si sono ben organizzati, con trenini e bus turistici, tour sui “ luoghi di Montalbano”, come Punta Secca (la Marinella dei romanzi), e Scicli. Ma prima di Scicli, nella nostra agenda c’è Noto, città divenuta barocca dopo che fu interamente ricostruita in seguito al violento terremoto del 1693 che distrusse buona parte dei centri della val di Noto. Con sorprendente sollecitudine, la Corona di Spagna, rappresentata dal viceré, nominò il vicario generale per la ricostruzione. Il nuovo sito, di impianto barocco, fu edificato in pietra gialla - caratteristica della città - più vicino al mare, perché offriva maggiore garanzia di sicurezza e perché lì si concentravano le principali attività economiche della nobiltà. 


Noto vanta numerosissime chiese, dalle splendide facciate convesse, e dimore nobiliari come palazzo Nicolaci, dalle stupefacenti mensole figurate. All’epoca le maestranze si erano specializzate nella decorazione plastica e nell’intaglio di elementi architettonici, e i balconi del piano nobile tolgono il fiato per le figure fantastiche sempre diverse, esempi di un variegato repertorio decorativo.
Di fronte all’ampio prospetto classicheggiante della cattedrale- dedicata a S.Nicolò di Mira - che custodisce le reliquie di S.Corrado Confalonieri - si gode la visione dell’elegante palazzo municipale intitolato al leggendario fondatore della città, Ducezio, vissuto nel V secolo a.C., l’eroe che resistette all’espansionismo greco. 


Circondato su tre lati da un loggiato a pilastri e colonne addossate su cui corre un’elegante cornice e una balaustra a colonnine, è sopraelevato, e all’interno si ammira un fastoso salone degli specchi, utilizzato in passato come teatro, biblioteca e sala di rappresentanza.
Facciata classica, presenta, poco distante dal Municipio, il teatro comunale, voluto dal l’intendente Salvatore La Rosa, inaugurato nel 1970, e intitolato all’attrice Tina di Lorenzo, di origini netine. Non si è mai allontanata da Noto, al contrario dell’attrice Tina, la poetessa ottocentesca Mariannina Coffa  (1848-1878) la Saffo netina, morta giovanissima. La stele marmorea che la ricorda campeggia in piazza XVI Maggio, accanto alla fontana di Ercole egizio.
  Città opulenta, piena di vita e di turisti, attenta alle proprie tradizioni sacre e profane, di cui ho apprezzato il progetto di museo diffuso applicato alla visita guidata delle chiese, Noto appare lontana non appena entriamo nell’atmosfera sonnacchiosa di Scicli.
Sorta su tre colli, a 90 km da Malta e a 300 circa dall’Africa, è stata sin dall’inizio un presidio militare. Come i materani, gli sciclitani abitarono nelle grotte fino agli anni ‘50, ed erano chiamati “aggrottati”, finché non furono trasferiti nella fondovalle. Qui si cerca di alimentare la “presenza” di Montalbano, e persino il calendario ne porta il nome. Davanti al Municipio campeggia la locandina che avverte i turisti: questo è il “Commissariato” della fiction. 


Ma mi intriga di più la chiesa di S.Teresa, con annesso monastero delle clarisse. Intrigante perché nella parete absidale che dà sulla strada è ancora visibile il finestrino dove era posizionata la “ruota degli innocenti”, messa lì perché le clarisse potessero prendere i bimbi abbandonati. Gli altari, poi, sono di legno- una novità - coperto con finto oro zecchino, mentre quello maggiore è abbellito da diversi specchietti in cornici dorate e lavorate, una singolarità che dobbiamo alla tradizione spagnola così amante del fasto. Un’altra particolarità di questa chiesa è la statua lignea del Cristo in croce, che due dame hanno inteso alleviare dalle sue sofferenze togliendogli la corona di spine e sostituendo i chiodi con delle rose di seta. Una visione davvero sorprendente, e tenera per il suo significato.
Il quadro del beato inglese Simon ci ricorda che fondò l’Ordine dei carmelitani scalzi, e sono in auge, in diversi affreschi, due eremiti, Corrado e Guglielmo.


Ma la vera sorpresa è la scoperta della Madonna della Milizia, una statua a cavallo vestita e imparruccata, armata di spada, ora custodita sotto vetro nella chiesa madre. Essa entra in scena l’ultimo sabato di maggio. A quella data, infatti, si rinnova la battaglia del1091, quando gli sciclitani, all’epoca già normanni, avvistarono una flotta saracena in avvicinamento. Benché pochi, si apprestarono animosi alla pugna, e quando ormai erano prossimi alla disfatta, intravidero increduli una donna che avanzava a cavallo brandendo la spada e incitando gli uomini a resistere. Scicli si assicurò così la vittoria, e da allora questa leggenda di tono epico- che ricorda le storie dei paladini e quella della Pulzella d’Orléans - accarezza il cuore degli sciclitani.
Non è invece una leggenda la storia di Pietro di Lorenzo detto Busacca [soprannome dato agli ebrei convertiti al cattolicesimo]. Ricco banchiere ebreo vissuto nel XVI secolo, si convertì, e la sua munificenza ha segnato da allora la storia di questo centro del ragusano. Infatti, grazie all’ingente fortuna accumulata nel Regno di Sicilia, egli dispose che alla sua morte i suoi averi fossero destinati agli altri. Fino all’Unità d’Italia e oltre la sua eredità venne impiegata per completare l’impianto urbanistico della città e per costruire importanti infrastrutture. Tre secoli dopo la sua morte venne costruito il palazzo di Via Nazionale a lui dedicato, e destinato ad ospitare gli uffici amministrativi dell’omonima Opera Pia che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 ha costruito un avveniristico ospedale intitolato sempre a lui. La comunità, grata, ha anche fatto realizzare in  onore di Busacca una  bella statua marmorea che domina la piazza di Scicli.

Rita Frattolillo © tutti i diritti riservati 2018











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