lunedì 28 novembre 2016

Le donne del Molise e il Fascismo


 Rita Frattolillo


           Il regime, fin dall’inizio, seppe blandire - e sfruttò con successo - il desiderio delle donne di servire da un lato la comunità nazionale e dall’altro di soddisfare la loro esigenza di impegno pubblico, e si adoperò per creare la “donna fascista per l’Italia fascista”, sottolineandone, con il pieno sostegno della potente macchina propagandistica, il ruolo di madre e di  massaia, fino ad arrivare alla missione patriottica, secondo i desideri del duce.

Il modello maternalista


“Nell’aula magna del Reale convitto nazionale “Mario Pagano” si è con rigido rito celebrata la «Sagra della famiglia». I capi di famiglia numerosa, le cui consorti sono state designate per il distintivo di benemerenza, hanno il posto d’onore. Tutti i settori sociali sono rappresentati (…) poiché sentono che in questa celebrazione si eleva l’inno dell’amore, della fede, si consacra l’amore della Patria, più potente per maggior numero dei suoi figli” [NOTA Il Giornale d’Italia 5 marzo 1940, Campobasso esalta la Sagra della maternità nel nome del Duce ]
Così Il Giornale d’Italia 5 marzo 1940 riferiva, nel  tono enfatico tipico di quegli anni, e con dovizia di particolari, l’annuale celebrazione della maternità, che, dopo il discorso tenuto dal camerata Francesco Trotta, si era conclusa con la
“Distribuzione  delle medaglie di onore alle madri prolifiche che sfilano dinanzi ai gerarchi ricevendo l’ambita attestazione tra il plauso degli intervenuti”. Ad essere celebrate erano solo le madri prolifiche: il primo anno, si tenne l’adunata nazionale a Roma, alla presenza del duce, e le madri delle 90 province italiane passate in rassegna come migliori esemplari della razza non furono chiamate per nome, ma per…numero di figli. Sui giornali trovava spazio anche  il “Bollettino demografico” della settimana, che riportava, oltre al numero dei nati e dei morti,  l’elenco delle famiglie prolifiche dei vari paesi molisani “da additare ad esempio”, come la coppia D’Alò Maurillo e Franceschini Adelia, che aveva ottenuto (Il Giornale d’Italia 6 marzo 1940) il 2°premio demografico di £1500 per aver avuto dal 1925, anno del matrimonio, 9 figli, “ oggi tutti viventi e a carico.” Il trafiletto si chiudeva  trasudando retorica: « Montenero  rurale, prolifica, fiera di questo riconoscimento della sua sana fecondità saprà in questo campo e in altri seguire sempre più i dettami del Duce».

domenica 20 novembre 2016

"Il sentiero di Aracne" di Elvira Santilli Tirone



di Rita Frattolillo

                     
        Dei  tre romanzi della scrittrice nata a Capracotta (Campobasso), pubblicati tra il 1968 (Oltre la valle) e il 1996 (Il sentiero di Aracne) con l’intermezzo del 1991 (A colloquio con Belzebù), non credo che siano in molti a sapere che il primo e l’ultimo sono stati generati nello stesso periodo, pur se usciti a quasi trent’anni di distanza.

Un dato non  tanto rilevante  se Oltre la valle e Il sentiero di Aracne sviluppassero un  tema simile.
 Al contrario, mentre Elvira  raccontava il proprio vissuto e quello della propria famiglia,  già  si andava concentrando sulla condizione della donna, che nell’età patriarcale era considerata priva di attitudini creative: è questo il tema trattato ne Il sentiero di Aracne.
Quindi, mentre Elvira assaporava il  meritato successo del  primo romanzo,   la sua mente   già mulinava vorticosamente  problematiche epocali che andavano assolutamente affrontate e sviluppate: la condizione della donna nella società (Il sentiero di Aracne) e le problematiche del mondo scolastico (A colloquio con Belzebù).

Ma se dopo Oltre la valle  la  penna di Elvira, grazie al suo “cervello a scacchi” - suo copyright- non si è fermata più,  è sicuramente insolito  per il lettore immergersi nel mito, penetrare in una trattazione etico-filosofica completamente diversa dagli altri due romanzi.