Chigi…chi
era costui?
Rita Frattolillo
Un nome,
un destino…Questo è il pensiero che mi salta in testa mentre guardo con attenzione i ritratti impettiti dei tanti Chigi effigiati in pompa magna, come
Ludovico (1866-1951), in alta tenuta di Gran Maestro del Sovrano Militare
Ordine di Malta, o quelli dei tanti primogeniti Chigi, che dal ‘700 fino al
pontificato di Paolo VI hanno ricoperto
l’importante carica di Custodi del Conclave e Marescialli di Santa Romana
Chiesa. Certo, lo so, alla parola “Chigi”, la mente va “naturalmente” alla sede
romana della Presidenza del consiglio dei ministri, al severo edificio di
piazza Colonna venduto allo Stato dalla
famiglia nel 1917. Ma io non sono a Roma, oggi, mi trovo nella meta di villeggiatura
prediletta dagli antichi. Orazio, Ovidio, Strabone, amavano questi luoghi
boschivi dediti al culto di Diana Aricina, culto che si intrecciava con i miti
di Fedra, Teseo e - per l’appunto - della ninfa Aricia. Qui, una colonna
miliare segna tuttora l’inizio della via Appia, e qui avveniva il primo cambio
di cavalli.
Secoli
dopo, fu la volta degli artisti amanti del gran tour: Goethe, Stendhal, Ruskin,
Sand, D’Annunzio.
Parlo di Ariccia e del gran palazzo che domina piazza di
Corte, residenza estiva dei Chigi ed eccezionale esempio architettonico di
Barocco romano ispirato dal talento multiforme di Gian Lorenzo Bernini, il
quale, con il suo allievo Carlo Fontana, progettò opere di ogni genere per
quella famiglia, e ricostruì quasi per intero il paese semidistrutto dalle
invasioni barbariche.
Nati a Siena
come banchieri, si erano imposti, come i Medici, grazie al loro peso economico
e al loro generoso impegno di mecenati. La prima figura di spicco è quella di
Agostino (1465-1520), detto “il Magnifico”, contemporaneo di un altro
“Magnifico”, Lorenzo dé Medici. Ma la gloria arriva con l’elezione a papa del
cardinale Fabio, giunto al soglio pontificio con il nome di Alessandro VII
(1655-1667), e prosegue, grazie all’elezione di diversi cardinali, tra cui
l’ultimo, Flavio III, è stato Nunzio Apostolico a Parigi nel 1800. Non mancano nella lunga stirpe beati
(Giovanni e Angela), né eroi di guerra (Agostino, morto nella decisiva
battaglia di Adua,1896). Ad accrescere la fama e il patrimonio del casato
papale contribuiscono, nel tempo, anche accorte alleanze matrimoniali
realizzate con la grande aristocrazia italiana ed europea.
A guardare le dame
ritratte, spiccano i nomi dei Borghese, Della Rovere, degli Aldobrandini, degli
Albani, e persino dei russo-tedeschi Sayn Wittgenstein; fu proprio la
principessa Antonietta Sayn Wittgenstein (1839-1918) a dotare gli aricini
[abitanti di Ariccia, n.d.r.]di una farmacia e di un asilo nido, e a sistemare
l’enorme parco monumentale (oggi di soli 28
ettari) retrostante al palazzo, arricchendolo, oltre che con vestigia di varia
epoca e provenienza, con una grande uccelliera, e con essenze arboree provenienti
da tutto il mondo, come la sequoia giunta appositamente per nave da San
Francisco.
Così, lo stemma ligneo della famiglia Chigi - rappresentato dai
monticelli sormontati da una stella – si arricchisce con gli emblemi delle
spose che via via hanno dato lustro al casato. Tra esse, Giulia Augusta, nipote
del papa Clemente XI Albani, il quale nel 1712 aveva investito i Chigi della
carica di Marescialli del Conclave. Non tutte le alleanze matrimoniali furono
però fortunate. Infatti Maria Giovanna dé Medici fu accusata di complotto ai
danni del consorte, il principe Sigismondo, sposato a Napoli nel 1776. Fatto
sta che il loro rapporto si concluse con una tumultuosa separazione.
Nel
trascorrere del tempo si ripetono gli stessi nomi maschili, Flavio, Sigismondo, Agostino, Ludovico, appartenuti a illuministi,
intellettuali, grandi filantropi. Fu un Agostino a costruire il palazzo della
Farnesina (attuale sede del Ministero degli esteri), e un Ludovico, allo
scoppio della seconda guerra mondiale, a preoccuparsi di nascondere libri e
arredi in Vaticano, salvandoli dalla rovina. Ma se io posso visitare palazzo e
parco, lo devo ad Agostino V(1929-2002) Chigi Albani Della Rovere, il quale lo
ha ceduto, nel 1988, al Comune di Ariccia, con vari beni immobili di famiglia.
Divenuto museo di se stesso, l’edificio ospita
l’unico museo interamente dedicato al Barocco presente in Italia.
Inaugurato
nel 2007, è costituito esclusivamente da donazioni, e vanta importanti dipinti
a tema sacro. Interessanti le stanze del cardinale, severe nel loro arredo e ricche di manufatti riguardanti il cộté pio
e penitenziale (cilici), ma a
conquistare il visitatore è il piano nobile - quello di rappresentanza - non
solo per la magnificenza e il fasto della quadreria, del mobilio e per l’originalità
delle pareti affrescate a tempera
nell’800 da Annibale Angelini con effetto trompe-l’oeil, o ricoperte di
cuoio lavorato (alla veneziana, all’olandese, ecc.), ma perché qui si vive
senza sforzo l’atmosfera evocata da
alcuni film famosi, come “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, che vi girò
alcune scene e lasciò in souvenir un bel
divano di velluto prugna. Le sontuose sale da pranzo (una per l’inverno e
l’altra per l’estate), il grande camino in pietra peperina lavorata come un
merletto che si intravede dietro ad Alain Delon e Burt Lancaster intenti a
conversare: ecco, queste sono immagini del film che tornano subito alla mente.
Illuminato da ricchissimi lampadari di Murano, lo spazioso salone della musica,
dove tuttora si tengono concerti e spettacoli, attrae per gli enormi cartoni
del cavalier D’Arpino (famoso soprattutto per aver ospitato Caravaggio)
raffiguranti i santi della cupola di S.Pietro, e per una rarissima sanguigna
del Bernini del 1663 custodita nella minuscola, preziosa cappella. Poi ci sono
le stanze tematiche: il gabinetto dei centocinquanta ritratti che illustrano la
successione dei Chigi fin dal ‘400; la stanza delle “belle”, ventisei ragazze
dell’aristocrazia romana dipinte su commissione dal seicentesco cardinale
Flavio, tutte
generosamente scollate, imparruccate e piene di gioielli; la
stanza delle suore Chigi, i cui occhi ci seguono contriti dai ritratti alle
pareti. A tale proposito, e a conferma che il destino della monaca di Monza
raccontato dal Manzoni non era affatto una rarità nei secoli scorsi, vale la
pena riferire che dei diciassette figli della principessa M.Virginia Borghese,
avuti con il consorte Agostino, le tredici femmine furono indirizzate tutte al
convento, proprio perché non possedevano dote capace di attrarre un consorte
degno di entrare nella casata. Come si
sa, erano avvantaggiati solo i primogeniti, mentre per gli altri era aperta, se
maschi, la carriera delle armi o l’abbraccio di Madre Chiesa, e se femmine, la
via del convento.
Ma per le
varie sale del grande edificio aleggia un fantasma, quello della bella, giovane
consorte del principe Ludovico. Anna Aldobrandini- questo il suo nome -fece in
tempo a dare alla luce due figli, Sigismondo e Laura, prima di morire, ad
appena ventiquattro anni. Rimango in muta contemplazione davanti ad uno dei
tanti ritratti che la mostra, delicata e gentile, e che il marito,
inconsolabile, volle esporre qui e là, forse nell’illusione di averla per
sempre con sé.
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