mercoledì 30 maggio 2018




Chigi…chi era costui?


                       Rita Frattolillo
                    Un nome, un destino…Questo è il pensiero che mi salta in testa mentre guardo con   attenzione i ritratti impettiti dei tanti Chigi effigiati in pompa magna, come Ludovico (1866-1951), in alta tenuta di Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, o quelli dei tanti primogeniti Chigi, che dal ‘700 fino al pontificato di Paolo VI  hanno ricoperto l’importante carica di Custodi del Conclave e Marescialli di Santa Romana Chiesa. Certo, lo so, alla parola “Chigi”, la mente va “naturalmente” alla sede romana della Presidenza del consiglio dei ministri, al severo edificio di piazza Colonna  venduto allo Stato dalla famiglia nel 1917. Ma io non sono a Roma, oggi, mi trovo nella meta di villeggiatura prediletta dagli antichi. Orazio, Ovidio, Strabone, amavano questi luoghi boschivi dediti al culto di Diana Aricina, culto che si intrecciava con i miti di Fedra, Teseo e - per l’appunto - della ninfa Aricia. Qui, una colonna miliare segna tuttora l’inizio della via Appia, e qui avveniva il primo cambio di cavalli.

Secoli dopo, fu la volta degli artisti amanti del gran tour: Goethe, Stendhal, Ruskin, Sand, D’Annunzio.


 Parlo di Ariccia e del gran palazzo che domina piazza di Corte, residenza estiva dei Chigi ed eccezionale esempio architettonico di Barocco romano ispirato dal talento multiforme di Gian Lorenzo Bernini, il quale, con il suo allievo Carlo Fontana, progettò opere di ogni genere per quella famiglia, e ricostruì quasi per intero il paese semidistrutto dalle invasioni barbariche.

 Ma chi erano, questi Chigi? 
    
Nati a Siena come banchieri, si erano imposti, come i Medici, grazie al loro peso economico e al loro generoso impegno di mecenati. La prima figura di spicco è quella di Agostino (1465-1520), detto “il Magnifico”, contemporaneo di un altro “Magnifico”, Lorenzo dé Medici. Ma la gloria arriva con l’elezione a papa del cardinale Fabio, giunto al soglio pontificio con il nome di Alessandro VII (1655-1667), e prosegue, grazie all’elezione di diversi cardinali, tra cui l’ultimo, Flavio III, è stato Nunzio Apostolico a Parigi nel 1800.  Non mancano nella lunga stirpe beati (Giovanni e Angela), né eroi di guerra (Agostino, morto nella decisiva battaglia di Adua,1896). Ad accrescere la fama e il patrimonio del casato papale contribuiscono, nel tempo, anche accorte alleanze matrimoniali realizzate con la grande aristocrazia italiana ed europea. 
A guardare le dame ritratte, spiccano i nomi dei Borghese, Della Rovere, degli Aldobrandini, degli Albani, e persino dei russo-tedeschi Sayn Wittgenstein; fu proprio la principessa Antonietta Sayn Wittgenstein (1839-1918) a dotare gli aricini [abitanti di Ariccia, n.d.r.]di una farmacia e di un asilo nido, e a sistemare l’enorme parco monumentale (oggi di soli 28 ettari) retrostante al palazzo, arricchendolo, oltre che con vestigia di varia epoca e provenienza, con una grande uccelliera, e con essenze arboree provenienti da tutto il mondo, come la sequoia giunta appositamente per nave da San Francisco. 

 Così, lo stemma ligneo della famiglia Chigi - rappresentato dai monticelli sormontati da una stella – si arricchisce con gli emblemi delle spose che via via hanno dato lustro al casato. Tra esse, Giulia Augusta, nipote del papa Clemente XI Albani, il quale nel 1712 aveva investito i Chigi della carica di Marescialli del Conclave. Non tutte le alleanze matrimoniali furono però fortunate. Infatti Maria Giovanna dé Medici fu accusata di complotto ai danni del consorte, il principe Sigismondo, sposato a Napoli nel 1776. Fatto sta che il loro rapporto si concluse con una tumultuosa separazione.

Nel trascorrere del tempo si ripetono gli stessi nomi maschili, Flavio, Sigismondo, Agostino, Ludovico, appartenuti a illuministi, intellettuali, grandi filantropi. Fu un Agostino a costruire il palazzo della Farnesina (attuale sede del Ministero degli esteri), e un Ludovico, allo scoppio della seconda guerra mondiale, a preoccuparsi di nascondere libri e arredi in Vaticano, salvandoli dalla rovina. Ma se io posso visitare palazzo e parco, lo devo ad Agostino V(1929-2002) Chigi Albani Della Rovere, il quale lo ha ceduto, nel 1988, al Comune di Ariccia, con vari beni immobili di famiglia.
 Divenuto museo di se stesso, l’edificio ospita l’unico museo interamente dedicato al Barocco presente in Italia. 


Inaugurato nel 2007, è costituito esclusivamente da donazioni, e vanta importanti dipinti a tema sacro. Interessanti le stanze del cardinale, severe nel loro arredo  e ricche di manufatti riguardanti il cộté pio e penitenziale (cilici),  ma a conquistare il visitatore è il piano nobile - quello di rappresentanza - non solo per la magnificenza e il fasto della quadreria, del mobilio e per l’originalità delle pareti affrescate a tempera  nell’800 da Annibale Angelini con effetto trompe-l’oeil, o ricoperte di cuoio lavorato (alla veneziana, all’olandese, ecc.), ma perché qui si vive senza sforzo  l’atmosfera evocata da alcuni film famosi, come “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, che vi girò alcune scene e lasciò  in souvenir un bel divano di velluto prugna. Le sontuose sale da pranzo (una per l’inverno e l’altra per l’estate), il grande camino in pietra peperina lavorata come un merletto che si intravede dietro ad Alain Delon e Burt Lancaster intenti a conversare: ecco, queste sono immagini del film che tornano subito alla mente.


 Illuminato da ricchissimi lampadari di Murano, lo spazioso salone della musica, dove tuttora si tengono concerti e spettacoli, attrae per gli enormi cartoni del cavalier D’Arpino (famoso soprattutto per aver ospitato Caravaggio) raffiguranti i santi della cupola di S.Pietro, e per una rarissima sanguigna del Bernini del 1663 custodita nella minuscola, preziosa cappella. Poi ci sono le stanze tematiche: il gabinetto dei centocinquanta ritratti che illustrano la successione dei Chigi fin dal ‘400; la stanza delle “belle”, ventisei ragazze dell’aristocrazia romana dipinte su commissione dal seicentesco cardinale Flavio, tutte 

 generosamente scollate, imparruccate e piene di gioielli; la stanza delle suore Chigi, i cui occhi ci seguono contriti dai ritratti alle pareti. A tale proposito, e a conferma che il destino della monaca di Monza raccontato dal Manzoni non era affatto una rarità nei secoli scorsi, vale la pena riferire che dei diciassette figli della principessa M.Virginia Borghese, avuti con il consorte Agostino, le tredici femmine furono indirizzate tutte al convento, proprio perché non possedevano dote capace di attrarre un consorte degno di entrare nella casata.  Come si sa, erano avvantaggiati solo i primogeniti, mentre per gli altri era aperta, se maschi, la carriera delle armi o l’abbraccio di Madre Chiesa, e se femmine, la via del convento.
Ma per le varie sale del grande edificio aleggia un fantasma, quello della bella, giovane consorte del principe Ludovico. Anna Aldobrandini- questo il suo nome -fece in tempo a dare alla luce due figli, Sigismondo e Laura, prima di morire, ad appena ventiquattro anni. Rimango in muta contemplazione davanti ad uno dei tanti ritratti che la mostra, delicata e gentile, e che il marito, inconsolabile, volle esporre qui e là, forse nell’illusione di averla per sempre con sé.

 Rita Frattolillo © tutti i diritti riservati 2018











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