lunedì 14 dicembre 2015

Maria Giuseppina Fusco e "Un corvo nel cuore"



di Rita Frattolillo


Diverse volte, mentre leggevo Un corvo nel cuore (Filopoli, 2008, pp.431, euro18), opera bella e terribile di Maria Giuseppina Fusco, mi è capitato di  pensare : “anch’io…”
 Perché Pina Fusco (Campobasso, 1941) ed io apparteniamo  alla generazione uscita dalla guerra, abbiamo conosciuto le medesime privazioni, annusato l’euforia della “ricostruzione”, vissuto il boom economico, il  ’68 e tutto il resto, fino ad oggi. Chissà quanti bimbi di allora, come noi, sono cresciuti con il latte in polvere degli americani, i ritagli delle ostie passati dalle monache, quanti, per addobbare il presepe, a Natale cercavano il muschio sui tronchi e lungo i muretti di campagna.
E quante di noi si sono fatte le bambole di pezza, sfruttando i cuscini di casa…

Andando avanti nella lettura  ho anche scoperto che Pina Fusco ed io ci siamo emozionate alle stesse canzoni, visto gli stessi film, amato le stesse letture. E non parlo solo di quelle “fondanti”, ma anche delle altre, che, siccome rivelano le pieghe più intime della sua formazione,  fanno della sua opera prima Un corvo nel cuore ben più di un  bildungsroman sia pure di alto valore umano e letterario, ma direi una sorta di autobiografia intellettuale.

Di solito gli scrittori cominciano cimentandosi con storie brevi, e invece Pina Fusco si è misurata immediatamente con il passo lungo e difficile della narrativa.

 Una sfida, certo, e una sfida vinta, dettata dall’esigenza improcrastinabile di “vuotare il sacco”, di fare outing attraverso la lunga “confessione” fatta all’amica del cuore scomparsa. Ha voluto «mettere a nudo la ferita che non guariva», fare definitivamente i conti con i tanti, troppi lutti, le sofferenze, i sensi di colpa, e allora ci troviamo davanti pagine  devastanti, impregnate di una sincerità  spietata, che non fa sconti a nessuno,  e meno che mai a se stessa.

Un romanzo lungamente  nutrito, sedimentato ed elaborato, che non poteva più aspettare, in cui le vicende personali che scandiscono la maturazione della protagonista  dando corpo alla narrazione sono inserite - a differenza del genere del mémoir - nel flusso della storia, che poi è quella cruciale del Novecento, filtrata  attraverso il suo vissuto.

Chissà quante volte, ripercorrendo la propria odissea, l’A. ha tentato di scucire episodi bui che però la sua memoria implacabile non le ha consentito di tralasciare.

  Una memoria incredibilmente nitida, e sostenuta da una scrittura capace di restituire al lettore persino le vibrazioni  dei  momenti da lei rivissuti sulla pagina.
Chissà quanto le sarà costato il coraggio della sincerità, infrangere la cortina di perbenismo tipico di ogni provincia,  per definizione esposta a malumori assai poco carsici quando si toccano certi argomenti.

Eppure l’A. ritesse episodi piccoli e grandi della “sua” esistenza dando al pulviscolo delle “comparse” nome e cognome, rendendole in tal modo ben riconoscibili; eccola raccontare, impietosa, come s’è consumata la deriva personale e familiare dopo l’improvvisa morte del padre adorato, le traversìe in ospizi e orfanotrofi, eccola ricostruire  come s’è scavato l’abisso – mai colmato – tra lei e la madre.

Una “lei” che si confonde con l’Autrice non solo perché ogni libro, anche quando non autobiografico, finisce sempre per svelare il suo autore, ma soprattutto perché la finezza introspettiva, la lucidità e la cognizione analitiche sono di un livello possibile solo in una sensibilità acuita da una lunga, profonda  - e reale - sofferenza. E che si è “esercitata” nel lavorìo di scandaglio e di autoanalisi, facendo di Un corvo nel cuore  un viaggio nella psiche, prezioso anche grazie ad una scrittura che non è solo colta. 

Infatti se l’A. accoglie il lessico famigliare e il linguaggio mimetico del parlato,  è costante  l’attenzione a riportare il “verbo” al suo peso e al suo significato autentico. Che il timbro sia drammatico o lirico, che il registro sia gergale o letterario, la lingua è sempre sintonizzata con intelligenza al tono e al contenuto.

Un’ultima parola va detta sul valore specifico, educativo ed etico, di questa epopea moderna, in cui scorre prepotente la vita.

Vita che va sfidata, aggredita, e riconquistata sempre e comunque, come fa la protagonista. La quale, attraverso il racconto della propria discesa agli inferi e della rinascita, induce a considerare in positivo il rapporto con la vita: sana lezione, specie per i giovani, spesso tentati di barattarla con lo sballo o l’euforia malata di un attimo. E in filigrana emerge dalle pagine di questo romanzo l’importanza dell’esempio, perché, malgrado tutto, proprio la protagonista, nel segno della fedeltà al padre -figura mitizzata – imparerà a proteggere e comprendere gli altri, sentirà  forte l’etica dell’impegno, crederà con  forza ai propri sogni  e  ideali.

Rita Frattolillo©2015 Tutti i diritti riservati

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