giovedì 29 gennaio 2015

Premiazione imprenditoria femminile a Campobasso, IV edizione

Ecco la scultura donata come Premio alle imprenditrici che si sono distinte per professionalità, innovazione e competenza nel Molise. Premio "Maria Rossi Sabelli" assegnato dal Comitato imprenditoria femminile per il 2014, la cui presidente è Concetta Jacovino


La vincitrice del primo premio, canadese originaria di Torella del Sannio
La bella scultura raffigurante una silhouette femminile e il globo è stata realizzata dallo scultore Fernando Izzi.


Proponiamo qualche stralcio della relazione di Rita Frattolillo:
 “Nel mio breve intervento  cercherò di ripercorrere un tracciato diacronico, trasversale, del percorso a ostacoli affrontato dalle donne nel Novecento, focalizzando quello che è stato uno  snodo cruciale e tragico, ma anche un grande  balzo in avanti.

Mi riferisco alla prima guerra mondiale, che ha segnato - dopo secoli di distrazione di storici e storiografi - l’ingresso delle donne nella storia con la esse maiuscola.
Una guerra  di cui commemoriamo i cento anni dell’inizio, e che è stata giustamente definita la guerra dei nostri nonni.
 E’ vero, certo: anche  mio nonno Raffaele partì per  il Carso lasciando la moglie a casa con quattro bimbi – e certe volte penso che forse  lui si è trovato a combattere accanto ai due poeti –soldato che  hanno scritto versi immortali su quei momenti terribili, Giuseppe Ungaretti, e il “nostro” Michele Cima di Riccia.
 Però, lasciatemi dire che quella è stata anche la guerra delle nostre nonne, per ché si sono mobilitate in massa, e, perché – lo so che sembra  un paradosso - è stato proprio quel conflitto a costituire un banco di prova e un eccezionale apripista che le ha forgiate e tirato fuori le loro doti migliori: coraggio, iniziativa, temerarietà, intraprendenza.

Sì, perché partiti gli uomini per il fronte, toccò alle donne sostituirli, nelle fabbriche (come il Lanificio Florindo Martino di Sepino che per oltre mezzo secolo, fino al 1950, ha fornito gli indumenti di lana all’esercito) e nel lavoro dei campi.
Le donne quindi, dovettero accollarsi la gestione degli affari di famiglia,  dell’impresa agricola. …e allora non c’erano gli aiuti tecnologici e i mezzi meccanici che esistono oggi…
Certo, da sempre le donne hanno collaborato con i loro uomini lavorando come e più di loro, ma altra cosa è affrontare da sole le difficoltà quotidiane.
Dalla guerra mio nonno tornò, e, avendo di che vivere, non fu costretto a varcare l’oceano in cerca di fortuna come successe a molti molisani.
 Qui, invece, l’emigrazione mordeva, una emigrazione  iniziata nella seconda metà dell’Ottocento, e accentuata perché il plurisecolare problema della terra non si era risolto neanche  dopo l’Unità, anzi (l’assegnazione delle terre promessa finì nella strage di Bronte, Catania, dell’agosto 1860, quando i due battaglioni di bersaglieri di Nino Bixio massacrarono i contadini che si erano sollevati rivendicando i loro diritti sui Cappeddi, i galantuomini latifondisti);
quindi le donne già allora avevano toccato con mano i problemi della solitudine e la necessità di supplire gli uomini, badare agli animali, coltivare la terra, affrontare tutto”.
“Vedete, io credo che se le imprenditrici molisane si sono espresse specialmente nel campo dell’agricoltura -  che è settore leader -,   non si tratta di un exploit dell’ultima ora, in quanto  affonda le sue radici
da una parte nel nostro comune substrato sannita, basti pensare che quando anche i fiumi erano divinità, gli antichi veneravano quale dea immortale la Terra, la Madre Terra, colei che tutto genera, appunto, un assioma che troppo spesso tendiamo a dimenticare.
Dall’altra  parte il primato dell’agricoltura si è consolidato nel tempo a causa delle contingenze storico- familiari e ambientali di cui  accennavo pocanzi, su cui ha insistito – tanto per fare un esempio - anche la demagogia fascista del “Molise ruralissimo”; mentre oggi a sottolineare la necessità del ritorno all’agricoltura da parte delle giovani generazioni, è addirittura papa Francesco”.
“Tornando all’intraprendenza e all’emancipazione femminile frutto della guerra, cominciamo col dire che siccome le donne  generano la vita e ne conoscono bene il valore,  nei tempi bui praticano anzitutto la carità e il sacrificio;   ne è stato un esempio anche il personaggio  a cui è intitolato questo premio, Maria Rossi Sabelli, che si è prodigata come infermiera qui a Campobasso sia nella prima che nella seconda guerra mondiale;  limitandoci alla prima guerra, si offrirono ben 10000 crocerossine,  poi ci furono le portatrici, coloro che nascondevano nei cesti di biancheria le armi per i soldati in Carnia, rimettendoci spesso la pelle, come Maria Plozner, madre di 4 figli, a cui è stato innalzato un monumento a Timau.
Ma la mobilitazione delle donne non si fermava qui:
cresce l’interventismo delle intellettuali (specie dopo Cobarid,Caporetto), nascono le prime impavide corrispondenti di guerra, nascono le spie - non le maliarde alla Mata Hari - ma donne che, raccogliendo l’eredità dei nonni garibaldini,  si offrono per fornire notizie sui movimenti e le intenzioni del nemico…allora non esisteva il servizio di intelligence.
 Quelle rimaste in città, rendendosi conto che non era più tempo di merletti, velette e cappelloni, arnesi inadatti alla realtà della fabbrica, e poi, chi c’era da sedurre, se gli uomini erano al fronte? si danno da fare per alleggerire e sfoltire il guardaroba… Sorgono così le prime stiliste, perché, come si dice, necessità aguzza l’ingegno, ed è vero, ma il meglio di sé lo hanno dato fondendo concretezza, solidarietà e spirito di iniziativa:
 mi riferisco a quel pugno di donne che  pensano,  confezionano, controllano  e mandano al fronte l’equipaggiamento di cui i soldati erano sprovvisti, perché il governo, malgrado l’attesa della guerra, non aveva provveduto per tempo.
E che dire del fatto che  in piena guerra, nel 1916, un gruppo di donne milanesi si diede da fare per difendere i soldati dai pidocchi, usando naftalina e canfora, inserite in uno scapolare di lana…”
 “Tra le tante definizioni del Novecento (il secolo breve, ecc.) mi piace quella di secolo delle donne; è giusto così, non solo perché loro hanno tenuta ferma la barra del timone durante i due conflitti mondiali, non solo per l’attivismo delle suffragette, ma perché i movimenti femminili hanno portato avanti lotte dure per rivendicare i diritti senza  i quali oggi non esisterebbe imprenditoria femminile, e possibilità alcuna per affermarsi nel mondo del lavoro.
E qui mi piace ricordare una grande campobassana, Rosa Fazio, che ha  speso una vita per il diritto di famiglia  e il  voto alle donne , è stata presidente dell’Udi e  donna politica di primo piano nella seconda metà del secolo.
Oggi tutti i diritti  dati per acquisiti sembrano piovuti dal cielo, e  invece sono costati lacrime e sangue, anche perché, malgrado e dopo  tutto quello che era successo e i cambiamenti avvenuti, finita l’emergenza, ogni volta c’era chi predicava  a gran voce il ritorno allo statu quo,  di rinchiudere le donne in casa, tra quattro mura, come se niente fosse”.
“Ebbene oggi  possiamo con orgoglio assistere  alla premiazione di queste donne di  spicco del panorama economico e produttivo che per essere qui  hanno lasciato i loro paesi dove si sono fatte apprezzare, avendo fatto emergere qualità e competenze  come imprenditrici e dirigenti di azienda, raggiungendo  importanti obiettivi e apportato significative innovazioni e competenze nel loro settore, affermando  l’identità femminile come valore personale, professionale e con un effetto di ricaduta fecondo anche per il territorio in termini di indotto e di posti di lavoro.
E, del resto, la figura femminile a cui è intitolato questo premio racchiude tutte queste qualità, è stata una nonna eccezionale, Maria Rossi Sabelli (1899-2000) “zia Maria”, che io ho conosciuto come poetessa,  grande amica della rimpianta Ada Trombetta.
 Ha attraversato il Novecento per intero, ha vissuto all’insegna della tenacia, dell’instancabilità e della lungimiranza, investendo con successo in numerosi settori, da quello agricolo  all’alimentare, fino al sanitario, e la clinica privata “Villa Maria”, che è la testimonianza materiale di questo impegno, lei la gestiva con l’ospitalità di una padrona di casa.
Il  nipote Stefano la ricorda  coinvolgente ed inarrestabile, che ha dimostrato  nei fatti di non arrendersi mai davanti alle difficoltà e di guardare sempre a nuovi obiettivi.

Una frase, questa, che sottoscriviamo e   facciamo nostra, consapevoli che i traguardi non conoscono limiti, e perciò stesso vanno sempre spostati in avanti”.


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