lunedì 17 novembre 2014

Ancora barbarie contro le donne indiane

foto Remocontro
Rita Frattolillo


E già noi donne non ce la facevamo più a digerire una situazione diventata, nella “civile” Italia, insostenibile da ogni punto di vista: mogli, ex, compagne, massacrate da bruti, donne sfigurate per vendetta  con l’acido; violenze sessuali e abusi da Nord a Sud della Penisola; donne trattate alla stregua di oggetti di poco conto, da malmenare e discriminare in ogni modo; occupazione femminile ai minimi storici;  inesistenza di strategie politico-sociali volte ad aiutare le famiglie (nidi, asili, ecc.), la cellula fondamento della società mai come ora esposta ad attacchi e indebolita nella sua stessa, indispensabile  funzione; un  governo, l’ultimo, che si è “dimenticato” di istituire un ministero per le pari opportunità, e che lascia chiudere per mancanza di risorse i centri di assistenza e accoglienza, nati per aiutare le donne abusate…
In una società in cui spuntano come funghi  associazioni di ogni tipo e colore per la difesa di uccelli, cani randagi,  foche monache  e chi più ne ha più ne metta, la più indifesa e la meno tutelata nei fatti è proprio la donna, di cui si continua a ignorare che da sempre è lei, assieme alla Madre Terra, la forza generatrice del pianeta, l’emblema della fertilità e della Vita.



 E adesso, a colmare davvero la misura, arriva questa notizia agghiacciante: ancora una volta è sulla donna che si scaricano i problemi della sovrappopolazione. Sono negli occhi di tutti le immagini delle tante, troppe  povere indiane morte durante l’intervento di tubectomia. Povere,  poverissime, sul serio, perché sono loro, che in cambio di 19 euro, equivalenti a una decina di giorni di spravvivenza per la loro famiglia in quelle zone sottosviluppate, si sottopongono “volontariamente” all’intervento eseguito in ospedali itineranti, in condizioni igieniche a dir poco precarie. Magari incentivate con il “premio” di un piccolo elettrodomestico!

Il risultato? Tra il 10 e 12 novembre corrente su un’ottantina di donne sottoposte alla chiusura delle tube, 11 sono già decedute e 64 ricoverate (non si sa con quali esiti).
 E’ nientemeno dagli anni Cinquanta che il governo del subcontinente indiano, allarmato per l’incremento demografico (+ 1,6% all’anno) di un paese che conta un miliardo e 300milioni di abitanti  promuove un piano ministeriale di sterilizzazione, che va avanti ogni anno da ottobre a febbraio. Le sterilizzazioni femminili eseguite tra il 2013 e il 2014 sono state ben 4 milioni, quelle maschili appena 110mila. Quindi, per lo Stato indiano la brutale pratica della tubectomia viene fatta passare, in pratica, come necessaria per arginare la sovrappopolazione. E gli uomini indiani, che sono oltre tutto gli stupratori più accaniti del globo? Perché non sterilizzare loro, dal momento che l’intervento maschile è meno invasivo, e quindi anche meno pericoloso? La giornalista Annie Zaidi ha dichiarato che il dilagante  fenomeno della violenza sessuale – che in India trova tribunali molto blandi – non è nuovo, in quanto è un retaggio antico. Estrema  conseguenza, cioè,  di una cultura che da una parte reprime la sessualità  e dall’altra eleva a valori assoluti l’obbedienza al marito e la totale sottomissione della donna all’autorità maschile; d’altra parte, la mascolinità è sinonimo di riproduzione, sicché la  sterilizzazione maschile – manco a dirlo – è un tabù, e in quanto tale inaccettabile dalla società indiana! Che fare?

Ci rendiamo conto che l’India è uno Stato sovrano e che le manovre d’intervento esterne sono minime – come sta dimostrando oltre ogni immaginazione il caso dei nostri sfortunati Marò. E tuttavia, se è impossibile cambiare la mentalità degli indiani,  lo scalpore che sta suscitando nell’intero pianeta il “sacrificio” femminile di massa che si consuma nel silenzio da decenni in quella parte del mondo sembra stia smuovendo  finalmente l’Onu, e il nostro più caldo desiderio – dettato dai più elementari principi di umanità – è che la sua voce si levi alta e forte per  fermare questa barbarie. 

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