di Rita Frattolillo
Entriamo
nella cittadina di Ronda dalla
porta Almukaba, nome arabo che significa “Porta delle anime”, perché di qui
passavano i cortei funebri che accompagnavano i defunti fuori città.
Ronda, a 700 m. sul l.m., è un misto ben riuscito di reminiscenze romane e arabe.
Il nome, ad esempio, è latino: infatti l’antica
Arunda era una città romana, che, benché fortificata, cadde, dopo parecchie
incursioni, in mano musulmana, e in mano loro rimase, fino a quando i piccoli
regni cristiani - in primis la regina
“cattolicissima” Isabella di Castiglia y Leon - un giorno di Pentecoste, la
ebbero vinta e la conquistarono dopo molti tentativi, approfittando delle lotte
intestine che stavano disgregando l’unione tra arabi.
Girando per le stradine, si nota qualche
costruzione di stile arabo, caratterizzata dalla mancanza di finestre (non
necessarie perché la luce proviene dal patio interno), e con l’ingresso a
gomito, in modo da impedire la visuale interna
a chi passa.
Per consentire al viandante di rinfrescarsi senza
dover entrare, all’esterno sono poste grandi
anfore piene d’acqua: è, oltre che un pensiero di vera accoglienza, un dono
prezioso, vista la penuria di acqua in tutta la Spagna.
Fino a qualche tempo fa, il contatto tra i maschi e
femmine, presso gli arabi, era limitato al “diritto a sedia”, cioè il fidanzato
aveva il permesso di sedersi vicino alla
“gelosia” del balcone dove sostava la ragazza.
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Il Ponte Nuovo |
Il maestoso
Ponte nuovo, costruito nel XVIII s., collega la città antica, destinata alle
abitazioni della classe ricca, al mercadillo, zona abitata dai meno abbienti,
che erano per lo meno esonerati dal pagamento delle tasse.
Allungando lo sguardo nello strapiombo orrido, si
intravedono dei mulini arabi, protetti da una
“muralla”; pare che sono stati attivi fino al 1950.
La mescolanza tra lo stile artistico arabo e quello
cristiano ha prodotto lo stile mudèjar.
La cattedrale S. Maria la Mayor, il cui campanile è un ex minareto - come in
tutte le cattedrali che visiteremo – si presenta luccicante e piena di fiori,
ma è anche particolarmente interessante per l’intreccio degli stili
architettonici: infatti è insieme tardo-gotica e stile Rinascimento, a causa di
un terremoto che la distrusse in parte.
Le due parti interne - gotica e Rinascimento - sono
separate da un lavoratissimo coro centrale, quadrato, di pino rosso, come il
tempietto usato per la processione della popolarissima processione del Corpus
Domini.
Su storici leggii sono esposti enormi incunaboli soprattutto musicali.
Tolgono il fiato gli altari barocchi, i “retablos”, alti fino al soffitto,
ridondanti di dorature, colonne a tortiglioni – dette salomoniche - intrecciati
a tralci di uva, che nell’allegoria cristiana sono il simbolo della vita.
Il termine “barocco” viene – mi dicono - dal portoghese “barrueca”, parola che indicava la perla non perfetta.
Gli scultori di immagini sacre si chiamano “imajineros”, mentre gli artisti del barocco che qui hanno prodotto tante opere sono i fratelli castillani Churriguera.
I piani degli altari sono di argento lavorato, mentre le varie Madonne sono vestite a seconda del periodo liturgico.
Molte le confraternite, che tra l’altro organizzano
le processioni della settimana santa, gareggiando per la ricchezza delle statue
delle Madonne, piene di gioielli, abiti di broccato e ricami sontuosi.
All’inizio, le corride si disputavano nelle piazze principali, e gli uomini erano
a cavallo (escuela de maestranza). Fu Pedro Romero a dettare le regole della
corrida a piedi, un nome che ricorre, ma gli abitanti sono molto orgogliosi del
loro concittadino, musico e poeta, Espinel, che
inventò la spinetta e la quinta corda della chitarra.
L’arena di Ronda,
che è la più grande di tutta la Spagna (66m.), è annunciata all’esterno da una rotonda con un toro di bronzo.
Nei corridoi
dell’arena sono esposti diversi manichini abbigliati con sontuosi costumi da
corrida, e una serie di copie delle
litografie di Goya riguardanti la corrida completa la mostra. Si tratta della
celebre “Tauromachia” di Goya.
In molte
arene spagnole è tradizione rendere omaggio al grande pittore con la corrida
goyesca, durante la quale i toreri portano ricchi costumi neri.
La prossima tappa, dopo Ronda, è Cadiz; questa ventosa cittadina, che ha un palazzo della Posta, un municipio e un porto importanti, è legata alla terraferma solo da un istmo. Fu fondata dai Fenici, che, essendo alla ricerca di nuovi mercati, superarono impavidi le colonne d’ Ercole malgrado la minaccia – lanciata dagli dei - di farli sprofondare negli inferi. Il mito vuole invece che fu Ercole, per dimostrare la sua forza al re Gerione di Esperia (=terra d’Occidente), a staccare alcune terre, tra cui, appunto, Cadiz .
Dopo la conquista da parte dei romani nessun popolo riuscì a colonizzare i fieri abitanti della città, che hanno eretto una statua a Lucio Columela, scrittore di agricoltura, e al patrizio romano Balbo.
Vantano una Costituzione del 1812, firmata anche dai Savoia.
La chiesa di S.Croce, che naturalmente è un’ex moschea, si fa ammirare non per l’architettura,
ma per le Madonne addolorate
addobbatissime, e per la suggestiva teca
di cristallo con il Cristo morto.
Lì vicino resto affascinata davanti a un’edicola di ceramica raffigurante un Cristo
legato alla colonna: è riccamente vestito alla araba, e scuro di viso e di
capelli.
Ecco ancora un’evidente, artistica fusione arabo-cristiana che non mi stancherei mai di guardare, tanto mi soggioga!
Rita Frattolillo © Tutti i diritti riservati 2016
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