Un racconto da lasciare in dono ai nipoti che vivono lontani, in una
città del nord, scritto per soddisfare le loro curiosità e i loro perché, e che
man mano prende forma e diventa un romanzo. Un omaggio alle proprie memorie, affinché riprendano vita attraverso
la scrittura.
sabato 4 novembre 2017
martedì 16 maggio 2017
La leggenda di Fata
RITA FRATTOLILLO
La figura di Fata rappresenta un
superamento dell’immagine
femminile così come viene rappresentata
secondo la tipologia di questo genere narrativo.
Infatti ci troviamo di fronte ad una ragazza di ceto molto modesto - è una pastorella – e tuttavia ben conscia
della propria dignità di donna.
Lei non si lascerà incantare dal
bagliore delle gemme, né dalla prospettiva di una esistenza agiata da
castellana.
Per niente disposta a cedere alle
lusinghe del potente di turno, rimarrà
fedele al suo innamorato e dimostrerà coi fatti di essere gelosa della sua
virtù. Pur di non tradire i propri sogni,
sacrificherà la propria vita.
sabato 25 marzo 2017
"Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcìa Màrquez
di Rita Frattolillo
Sull’onda del buon docufilm “Gabo”
mi sono riavvicinata al romanzo “Cent’anni
di solitudine” scritto nel 1967 dallo scrittore colombiano G.G. Màrquez (1927-2014), premio Nobel 1982.
Sono quattrocento pagine che con piglio epico
narrano la storia della famiglia Buendia lungo sei-sette generazioni, a
cominciare dal patriarca José Arcadio Buendía, il quale, dopo aver vagato a
lungo e inutilmente con altre famiglie
amiche nella sierra alla ricerca della costa, si ferma a fondare il villaggio di Macondo, vicino alla
grande palude. Di pari passo con la saga familiare, seguiamo la crescita di
Macondo, la sua “prosperità miracolosa”, ma anche la sua distruzione. Inizialmente
composto da poche
case di fango, esso si abbellisce via via con abitazioni in
mattoni e tetti di zinco, finché arriva la compagnia bananiera che porta lavoro
e nuove possibilità economiche. Anche la vita si anima, la gente si civilizza, conosce
il grammofono e il telefono, arriva la ferrovia.
sabato 21 gennaio 2017
Tra la "Lettera a una professoressa" di don Milani e "A colloquio con Belzebù" di Elvira Tirone
di
Rita Frattolillo
Nel maggio1967,
un mese prima che si spegnesse ad appena 44 anni, don Lorenzo Milani pubblicava
un volume scritto insieme ai suoi alunni, i ragazzi della sperduta frazione di
Barbiana, nel Mugello.
“Lettera a una professoressa”, questo il titolo, ebbe
l’effetto di un sasso nello stagno.
Perché essa dava voce a ragazzi poveri, considerati i paria della socità, e poi
perché denunciava forte e chiaro il
sistema scolastico e un metodo didattico
che, favorendo l’istruzione delle classi agiate, i cosidetti “Pierini”,
abbandonava all’ignoranza la maggior parte del Paese.
Ma chi era Don Milani?
Un sacerdote, insegnante, scrittore ed educatore, che, con quei ragazzi,
aveva tentato una sperimentazione di scuola a tempo pieno, realizzando un
collettivo dove si lavorara tutti insieme, e chi sapeva di più aiutava gli altri.
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