La vincitrice del primo premio, canadese originaria di Torella del Sannio |
Proponiamo qualche stralcio della relazione di Rita Frattolillo:
“Nel
mio breve intervento cercherò di ripercorrere un tracciato diacronico,
trasversale, del percorso a ostacoli affrontato dalle donne nel Novecento,
focalizzando quello che è stato uno snodo cruciale e tragico, ma anche un
grande balzo in avanti.
Mi
riferisco alla prima guerra mondiale, che ha segnato - dopo secoli di distrazione di
storici e storiografi - l’ingresso delle donne nella storia con la esse
maiuscola.
Una
guerra di cui commemoriamo i cento anni dell’inizio, e che è stata
giustamente definita la guerra dei nostri nonni.
E’
vero, certo: anche mio nonno Raffaele partì per il Carso lasciando
la moglie a casa con quattro bimbi – e certe volte penso che forse lui si
è trovato a combattere accanto ai due poeti –soldato che hanno scritto
versi immortali su quei momenti terribili, Giuseppe Ungaretti, e il “nostro”
Michele Cima di Riccia.
Però,
lasciatemi dire che quella è stata anche la guerra delle nostre nonne, per ché
si sono mobilitate in massa, e, perché – lo so che sembra un paradosso -
è stato proprio quel conflitto a costituire un banco di prova e un eccezionale
apripista che le ha forgiate e tirato fuori le loro doti migliori: coraggio,
iniziativa, temerarietà, intraprendenza.
Sì,
perché partiti gli uomini per il fronte, toccò alle donne sostituirli, nelle
fabbriche (come il Lanificio Florindo Martino di Sepino che per oltre mezzo
secolo, fino al 1950, ha fornito gli indumenti di lana all’esercito) e nel
lavoro dei campi.
Le
donne quindi, dovettero accollarsi la gestione degli affari di famiglia,
dell’impresa agricola. …e allora non c’erano gli aiuti tecnologici e i mezzi
meccanici che esistono oggi…
Certo,
da sempre le donne hanno collaborato con i loro uomini lavorando come e più di
loro, ma altra cosa è affrontare da sole le difficoltà quotidiane.
Dalla
guerra mio nonno tornò, e, avendo di che vivere, non fu costretto a varcare
l’oceano in cerca di fortuna come successe a molti molisani.
Qui,
invece, l’emigrazione mordeva, una emigrazione iniziata nella seconda
metà dell’Ottocento, e accentuata perché il plurisecolare problema della terra
non si era risolto neanche dopo l’Unità, anzi (l’assegnazione delle terre
promessa finì nella strage di Bronte, Catania, dell’agosto 1860, quando i due
battaglioni di bersaglieri di Nino Bixio massacrarono i contadini che si erano
sollevati rivendicando i loro diritti sui Cappeddi, i galantuomini
latifondisti);
quindi
le donne già allora avevano toccato con mano i problemi della solitudine e la
necessità di supplire gli uomini, badare agli animali, coltivare la terra,
affrontare tutto”.
“Vedete,
io credo che se le imprenditrici molisane si sono espresse specialmente nel
campo dell’agricoltura - che è settore leader -, non si
tratta di un exploit dell’ultima ora, in quanto affonda le sue radici
da
una parte nel nostro comune substrato sannita, basti pensare che quando anche i
fiumi erano divinità, gli antichi veneravano quale dea immortale la Terra, la
Madre Terra, colei che tutto genera, appunto, un assioma che troppo spesso
tendiamo a dimenticare.
Dall’altra
parte il primato dell’agricoltura si è consolidato nel tempo a causa delle
contingenze storico- familiari e ambientali di cui accennavo pocanzi, su
cui ha insistito – tanto per fare un esempio - anche la demagogia fascista del
“Molise ruralissimo”; mentre oggi a sottolineare la necessità del ritorno
all’agricoltura da parte delle giovani generazioni, è addirittura papa
Francesco”.
“Tornando
all’intraprendenza e all’emancipazione femminile frutto della guerra,
cominciamo col dire che siccome le donne generano la vita e ne conoscono
bene il valore, nei tempi bui praticano anzitutto la carità e il
sacrificio; ne è stato un esempio anche il personaggio a cui
è intitolato questo premio, Maria Rossi Sabelli, che si è prodigata come
infermiera qui a Campobasso sia nella prima che nella seconda guerra mondiale;
limitandoci alla prima guerra, si offrirono ben 10000 crocerossine,
poi ci furono le portatrici, coloro che nascondevano nei cesti di
biancheria le armi per i soldati in Carnia, rimettendoci spesso la pelle, come
Maria Plozner, madre di 4 figli, a cui è stato innalzato un monumento a Timau.
Ma
la mobilitazione delle donne non si fermava qui:
cresce
l’interventismo delle intellettuali (specie dopo Cobarid,Caporetto), nascono le
prime impavide corrispondenti di guerra, nascono le spie - non le maliarde alla
Mata Hari - ma donne che, raccogliendo l’eredità dei nonni garibaldini,
si offrono per fornire notizie sui movimenti e le intenzioni del nemico…allora
non esisteva il servizio di intelligence.
Quelle
rimaste in città, rendendosi conto che non era più tempo di merletti, velette e
cappelloni, arnesi inadatti alla realtà della fabbrica, e poi, chi c’era da
sedurre, se gli uomini erano al fronte? si danno da fare per alleggerire e
sfoltire il guardaroba… Sorgono così le prime stiliste, perché, come si dice,
necessità aguzza l’ingegno, ed è vero, ma il meglio di sé lo hanno dato
fondendo concretezza, solidarietà e spirito di iniziativa:
mi
riferisco a quel pugno di donne che pensano, confezionano,
controllano e mandano al fronte l’equipaggiamento di cui i soldati erano
sprovvisti, perché il governo, malgrado l’attesa della guerra, non aveva
provveduto per tempo.
E
che dire del fatto che in piena guerra, nel 1916, un gruppo di donne
milanesi si diede da fare per difendere i soldati dai pidocchi, usando
naftalina e canfora, inserite in uno scapolare di lana…”
“Tra le tante definizioni del Novecento (il
secolo breve, ecc.) mi piace quella di secolo delle donne; è giusto così, non
solo perché loro hanno tenuta ferma la barra del timone durante i due conflitti
mondiali, non solo per l’attivismo delle suffragette, ma perché i movimenti
femminili hanno portato avanti lotte dure per rivendicare i diritti senza
i quali oggi non esisterebbe imprenditoria femminile, e possibilità
alcuna per affermarsi nel mondo del lavoro.
E
qui mi piace ricordare una grande campobassana, Rosa Fazio, che ha speso
una vita per il diritto di famiglia e il voto alle donne , è stata
presidente dell’Udi e donna politica di primo piano nella seconda metà
del secolo.
Oggi
tutti i diritti dati per acquisiti sembrano piovuti dal cielo, e
invece sono costati lacrime e sangue, anche perché, malgrado e dopo tutto
quello che era successo e i cambiamenti avvenuti, finita l’emergenza, ogni
volta c’era chi predicava a gran voce il ritorno allo statu quo, di
rinchiudere le donne in casa, tra quattro mura, come se niente fosse”.
“Ebbene oggi possiamo con orgoglio
assistere alla premiazione di queste donne di spicco del
panorama economico e produttivo che per essere qui hanno lasciato i
loro paesi dove si sono fatte apprezzare, avendo fatto emergere qualità e
competenze come imprenditrici e dirigenti di azienda, raggiungendo
importanti obiettivi e apportato significative innovazioni e competenze nel
loro settore, affermando l’identità femminile come valore personale,
professionale e con un effetto di ricaduta fecondo anche per il territorio in
termini di indotto e di posti di lavoro.
E, del resto, la figura femminile a
cui è intitolato questo premio racchiude tutte queste qualità, è stata una
nonna eccezionale, Maria Rossi Sabelli (1899-2000) “zia Maria”, che io ho
conosciuto come poetessa, grande amica della rimpianta Ada Trombetta.
Ha attraversato il Novecento
per intero, ha vissuto all’insegna della tenacia, dell’instancabilità e della
lungimiranza, investendo con successo in numerosi settori, da quello
agricolo all’alimentare, fino al sanitario, e la clinica privata “Villa
Maria”, che è la testimonianza materiale di questo impegno, lei la gestiva con
l’ospitalità di una padrona di casa.
Il
nipote Stefano la ricorda coinvolgente ed inarrestabile, che ha
dimostrato nei fatti di non arrendersi mai davanti alle difficoltà e di
guardare sempre a nuovi obiettivi.
Una
frase, questa, che sottoscriviamo e facciamo nostra, consapevoli
che i traguardi non conoscono limiti, e perciò stesso vanno sempre spostati in
avanti”.
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