di Rita
Frattolillo
Viene il Papa
da noi? Quando ha cominciato a trapelare la notizia, il primo sentimento è
stato di incredulità. Perché ci avrebbe fatto il grande dono della sua presenza
il Campione della fede più popolare del mondo? Siamo una regione piccola,
insignificante, senza alcun peso nella dialettica nazionale, tanto è vero che siamo sistematicamente snobbati
da tutti i media in blocco, un po’ come succede ai sardi, che accedono agli
onori ( si fa per dire) delle cronache televisive solo per qualche calamità o
per gli scioperi selvaggi degli operai esasperati dall’immobilismo governativo.
Insomma, siamo abituati a essere invisibili, salvo poi essere messi alla
berlina da “Striscia” o essere da
“Report”.
Poco dopo, però, l’incredulità e la sorpresa cedono il
posto al ragionamento: Papa Francesco, già con il nome che si è scelto, quello del poverello di Assisi, ha
mostrato non solo di sceglierne il messaggio di semplicità e umiltà, ma anche e
soprattutto la ferma volontà di rompere gli schemi, di tornare alla Chiesa
delle origini, povera e vicina agli svantaggiati, ad un cristianesimo più
convinto e penetrante. E infatti, al centro dell’alto ministero di questo Papa
gesuita venuto “dalla fine del mondo”, come dichiarò il 13 marzo 2013 al momento della sua
proclamazione, c’è anche l’attenzione per le terre di periferia
(“luoghi privilegiati per tessere un dialogo con Dio”) come la nostra, per i piccoli comuni, per le popolazioni disagiate, e ogni suo gesto lo conferma: a Lampedusa come a Cagliari, a Sibari come ad Assisi e ora nel Molise, papa Francesco è il Pastore che vuole, che deve sentire “l’odore” del suo gregge e portare con la sua vicinanza la lezione evangelica calata nella realtà del vissuto quotidiano. E non è un caso che il nostro Arcivescovo, monsignor Giancarlo Bregantini, grande artefice di questo evento che resterà negli annali della Storia della nostra intera comunità, abbia voluto, per la messa solenne celebrata dal Papa nel vecchio campo sportivo, un altare eretto in una capanna fatta di erba e canne intersecate, a ricordo di quelle abitate dai nostri pastori lungo i tratturi nel corso della transumanza. Tratturi che, con la benedizione dell’Arcivescovo ai pellegrini partiti da Campobasso, sono tornati ad animarsi durante la Marcia della Pace giunta questo 8 giugno alla settima edizione.
(“luoghi privilegiati per tessere un dialogo con Dio”) come la nostra, per i piccoli comuni, per le popolazioni disagiate, e ogni suo gesto lo conferma: a Lampedusa come a Cagliari, a Sibari come ad Assisi e ora nel Molise, papa Francesco è il Pastore che vuole, che deve sentire “l’odore” del suo gregge e portare con la sua vicinanza la lezione evangelica calata nella realtà del vissuto quotidiano. E non è un caso che il nostro Arcivescovo, monsignor Giancarlo Bregantini, grande artefice di questo evento che resterà negli annali della Storia della nostra intera comunità, abbia voluto, per la messa solenne celebrata dal Papa nel vecchio campo sportivo, un altare eretto in una capanna fatta di erba e canne intersecate, a ricordo di quelle abitate dai nostri pastori lungo i tratturi nel corso della transumanza. Tratturi che, con la benedizione dell’Arcivescovo ai pellegrini partiti da Campobasso, sono tornati ad animarsi durante la Marcia della Pace giunta questo 8 giugno alla settima edizione.
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Il Papa con l'Arcivescovo Bregantini |
Con
l’annuncio da parte della Santa Sede della data fissata per la visita pastorale
del Santo Padre nella regione, sono cominciati gli interrogativi e le relative
fibrillazioni : ce la faremo, con i mezzi a disposizione? I tempi non sono
troppo stretti? La macchina organizzativa reggerà?
Questo evento collocherà la nostra periferia
sotto i riflettori del mondo intero,
arriveranno diverse centinaia di organi di stampa italiani e stranieri,
e bisogna essere pronti, all’altezza del grande onore che riceviamo…
Il fulcro
della visita pastorale è il capoluogo di regione, Campobasso, nominato
quest’anno città della Pace, ma la giornata molisana del Santo Padre sarà un
concentrato di luoghi significativi dal punto di vista spirituale e culturale.
Infatti dopo la mattinata nel capoluogo, che prevede anche la sosta nella
cattedrale e presso la casa di fra Immacolato Brienza, che fino all’ultimo
respiro ha testimoniato l’offerta della sua sofferenza al Signore, il Pontefice
giungerà nella basilica di Castelpetroso dove si raccoglierà in preghiera –
come già aveva fatto san Karol Wojtyla - davanti all’Addolorata, patrona del
Molise con Celestino V.
Nel
piazzale antistante affiderà alla Madonna i giovani molisani e abruzzesi - in fermento dalla mattina nell’attesa
di aprirgli il loro cuore - e si
intratterrà con loro, li ascolterà.
Poi
raggiungerà Isernia (invasa da circa 70mila fedeli), dove, dopo aver visitato i
reclusi nella casa circondariale, abbraccerà nella cattedrale i malati, e in quella piazza proclamerà solennemente l’anno
giubilare celestiniano per gli 800 anni dalla nascita di Pietro del Morrone.
Intanto, a
Campobasso più d’uno, appena l’aveva saputo, s’era cerchiata la data del 5
luglio sul calendario, ma non ce n’era bisogno; bastava girarsi intorno per
notare un fervore mai visto prima nell’abbellire ogni angolo della città, nel
ripulire certe facciate di edifici, ridare l’asfalto, sistemare le aiuole, pavesare
strade e piazze con l’immagine sorridente di Francesco, ripristinare il malandato
ex campo sportivo “Romagnoli”, scelto definitivamente - e molto opportunamente, trovandosi nel cuore della città - dopo aver abbandonato
l’idea di Selva Piana e della zona industriale. Diverse signore, conosciuto l’itinerario che il Papa avrebbe
percorso sulla sua auto bianca, aveva cominciato a tirare fuori dagli armadi i
preziosi copriletti a tombolo degli antichi corredi: bisognava approntarli per
stenderli ai balconi e alle finestre “in onore del Pontefice, così come
facciamo quando sfila in processione Gesù Morto il venerdì santo, la Madonna dei Monti alla fine di maggio, e
quando passa per le vie centrali della città il Corpus Domini con i Misteri, a
giugno”.
Si prevede l’invasione pacifica di centomila
pellegrini in una città che conta 50mila abitanti, un bel banco di prova per
tutte le forze in campo, e sicuramente anche per il sindaco appena eletto,
Antonio Battista, non c’è che dire!
Molti di
quelli che avevano prenotato al mare, sulla vicina costa, sarebbero rientrati in
città per partecipare al grande evento, e stringersi gioiosamente intorno
a questo Papa straordinario che in
pochi mesi di pontificato con la sua schiettezza e il suo sorriso contagioso è
riuscito a scongelare i tiepidi e gli scettici, e che con determinazione ed
energia sta portando avanti una rivoluzione etica senza precedenti. E’ sotto
agli occhi di tutti la lotta senza quartiere intrapresa contro la corruzione e
i crimini di qualsiasi forma e colore, il perseguimento del rinnovamento
spirituale e della trasparenza della macchina organizzativa vaticana, la chiarezza nel bandire gli
‘ndranghetisti e i loro accoliti, la sua sofferta compenetrazione nel farsi
sismografo delle inquietudini morali, sociali ed economiche che travagliano
l’umanità tutta.
L’ultima
visita di un pontefice in Molise risale
al 1995, quando è venuto Giovanni Paolo
II, il “Globetrotter di Dio”, mentre la programmata visita di Benedetto XVI non
ha mai trovato realizzazione.
Nella
nostra regione il rapporto tra Storia, fede e devozione popolare è molto antico
e si radica proprio nella figura dei papi, prima tra tutti in quella umile dell’undicesimo figlio di due contadini
di questa terra, Pietro del Morrone, eletto Papa come Celestino V il 5 luglio
del lontano 1294. Prima ancora, nel 1053, era stato un Papa tedesco, Leone IX,
a finire tra i nostri monti. Vincenzo Di Sabato ha scritto di recente che Leone
IX, muovendosi da Roma in direzione della Daunia, dove avrebbe dovuto stringere
un patto con i Bizantini per contrastare l’avanzata normanna verso lo Stato
Pontificio, venne fermato da una terribile piena del Biferno e dalla repulsione
delle popolazioni appartenenti a contee
longobarde in contrasto tra loro. Mentre tutto sembrava perduto, il Papa
cinquantunenne - Brunone dei conti di Dagsburg - intravide, abbarbicata sulle alture, la rocca
di Guardialfiera circondata da una manciata di case, e lì diresse la sua
cavalcatura.
Giunto
faticosamente in paese, venne rifocillato e accolto con tutti gli onori dal
conte e dai guardiesi. Ripresosi, per esprimere la propria gratitudine a quella
gente tanto ospitale, il Papa creò, in terra di Molise, la prima forma di
indulgenza plenaria sine tempore.
Da quel lontano episodio, di cui vanno
giustamente fieri i guardiesi, nasce l’autorità religiosa sancita dal
privilegio della Porta Santa realizzata successivamente nel portale nord-est
della chiesa-madre dell’Assunta di Guardialfiera.
La mattina
del 5 luglio, qualche minuto dopo le 8 scendo in strada per raggiungere l’Aula
Magna dove è atteso il Pontefice per il primo, significativo momento della sua
densa e intensa giornata, che prevede, emblematicamente, l’incontro con il
mondo del lavoro e dell’industria. Cielo terso e sole splendente, non incontro
un’anima: la città sembra vuota, non respira, l’aria è sospesa, carica del
silenzio tipico dell’attesa. Poi, alla svolta, un primo grande assembramento di
fedeli colorati e festosi: sono arrivati dalle regioni contermini e persino
dalla Sicilia. Per tutta via Trivisonno (lo “stradone”), due lunghe ali di
folla con bandierine e ombrellini da sole è assiepata alle transenne
in attesa dell’atterraggio dell’elicottero bianco dell’aereonautica militare
nel parking dell’Ateneo dove i lampioni sono stati rigati di rosso per una
migliore visibilità. Sentiamo il ronzio dell’elicottero ancora prima di vederlo
comparire, in cielo, e poco dopo, in lieve anticipo sull’orario, l’atterraggio.
Scende nella sua veste candida, Papa Bergoglio, tra gli applausi e le
acclamazioni di una folla composta, mentre operatori e fotografi si accalcano. Nell’Aula Magna gremita fino
all’inverosimile, il Pontefice è accolto da 600 persone esultanti che ripetono
entusiaste “Viva Francesco!”. Dopo l’indirizzo di benvenuto del Rettore
Palmieri, che, tratteggiate rapidamente la tradizione rurale e le caratteristiche
storico-culturali e socio-economiche della regione , ringrazia il Papa per aver scelto “la nostra
piccola terra e per aver aperto il cuore alla speranza” , sono due
rappresentanti del mondo del lavoro a dare la loro testimonianza. Parla a nome
di tutti i colleghi la giovane operaia Fiat, Elisa Piermarino, con in braccio
il figlio di 15 mesi e un altro in grembo. Si dice fiera di far parte di un
gruppo di lavoro importante, anche se nel processo di ammodernamento aziendale
si lascia sempre meno spazio ai lavoratori, e sono tante le piccole aziende del
Molise che purtroppo registrano il crollo. Guarda con una certa fiducia al
futuro, ma vive con paura il ricorso alla cassa integrazione. Mette a fuoco le
difficoltà delle madri lavoratrici, il
loro impossibile compito di conciliare i loro diversi ruoli nell’assenza totale
delle istituzioni, sorde ad ogni necessità.
E’ poi la
volta di Gabriele Maglieri, 28 anni, di Riccia,
che, dopo la laurea in scienze agrarie conseguita nell’Ateneo campobassano,
racconta di aver scelto di essere
contadino continuando per passione la tradizione familiare, ma beninteso con
spirito nuovo. Maglieri, imprenditore agricolo, amministratore del suo Comune,
membro dell’ANCI giovani, parla della tecnica
agronomica alternativa chiamata “semina su sodo” da lui appresa in
Argentina, dove essa è già realtà, grazie al suo professore Danilo Marandola,
ricercatore dell’ENEA di Roma e direttore dell’Associazione Italiana Produttori
Amici del Suolo (AIPAS). Si tratta,
continua Maglieri, di un cambiamento
tecnico-culturale necessario se vogliamo adeguare il sistema al nostro
territorio, dove sono attive 27mila piccole aziende agricole. La rete di agricoltori innovativi AIPAS
condivide esperienze e novità nelle regioni contermini alla nostra, e anche in
Umbria, ma è necessario suscitare nei giovani la passione e il rispetto per la
terra, far capire loro che il creato cantato da San Francesco va custodito non
solo come bellezza naturale da condividere, ma come fonte di sostentamento per
famiglie e paesi interi. La custodia del creato, la dignità dell’uomo, la
giustizia, sono i tre cardini - conclude
Maglieri - che potrebbero fare del Molise un laboratorio per il rilancio delle
piccole aree rurali di tutta la Penisola.
Il
Pontefice, assorto nell’ascolto, sembra
provato e le prime parole del suo discorso sono un soffio appena percepibile,
poi si rinvigorisce e torna con forza sui temi che illuminano il suo alto
ministero, riprendendo al tempo stesso le due testimonianze, che hanno chiuso
il loro intervento ringraziando il Papa per la sua vicinanza, per la fiducia
e la speranza che infonde nei giovani.
Purtroppo
sappiamo tutti che i numeri della
disoccupazione nel Molise sono impietosi e dipingono un quadro drammatico della
situazione economica e sociale, perché la perdita di 17mila posti di lavoro
crea difficoltà enormi alle famiglie e allontana i giovani dalla possibilità di
trovare lavoro nella terra in cui sono nati. Se in Italia la media della
disoccupazione si aggira sul 13 %, da noi sale al 18 %, e i dati della
disoccupazione giovanile sono ancora più allarmanti: 48,9%; cioè un giovane
(tra i 15 e i 24 anni) su due è alla ricerca
di un lavoro.
Dio ci spinge ad essere creativi - è il primo
pensiero del Pontefice - particolarmente quando c’è sofferenza, e l’impegno
della ricerca nasce anche dalla necessità di rispondere alla crisi mondiale che
ci attanaglia, che rischia di rubarci la speranza, ma che è una sfida da
affrontare e superare. La scelta del
corso di laurea per fare l’agricoltore nella propria terra, aprendo allo
sviluppo nel rispetto della natura, far quindi
diventare quella scelta una feconda opportunità anche per gli altri, può essere una risposta; risposta essenziale
se si vuole combattere la piaga dell’emigrazione.
Sono tanti,
troppi i giovani costretti ad abbandonare la patria in cerca di lavoro per
mancanza di prospettive a causa di una politica cieca e incompetente. Del
resto, il Papa argentino di origini piemontesi sa bene di che cosa si tratta, che cosa significhi affrontare altre realtà,
costruirsi una nuova vita. La formazione
dei giovani è fondamentale - ha asserito il Papa in altre occasioni - per lavorare
bene e con dignità.
Poi: chi non lavora non muore di fame, ma è il non portare il pane a casa che fa perdere
la dignità. Insistendo sul concetto della dignità dell’uomo legata al lavoro,
il Papa sottolinea la necessità di rompere
gli schemi; unendo la sua voce a quella dei lavoratori e degli imprenditori
ribadisce che occorre attuare un patto per il lavoro cogliendo le opportunità offerte dalle leggi
nazionali e mettendo insieme le forze costruttive. Ma il lavoro non è tutto:
c’è libertà nel lavorare la domenica? E’ indispensabile tenere aperti i negozi anche
quel giorno? La domenica è e deve rimanere uno spazio riservato alla famiglia.
Il tema della sacralità della domenica, giorno da dedicare a Dio e alla
famiglia, riguarda particolarmente la presenza genitoriale. A questo proposito il Papa ricorda che quando
confessa chiede ai genitori se “perdono tempo” con i propri bambini, e aggiunge
che bisogna ricordarsi di farlo, perché la priorità è il rapporto umano,
l’amicizia, la famiglia. Mentre parla, Papa Bergoglio trasfonde fiducia e
serenità, le sue parole arrivano dritte al cuore, ha questa capacità di
annullare il diaframma tra sé e gli altri - il”prossimo”del dettato evangelico
- e se la gente accorre e si affolla, gli
si stringe intorno, mostra entusiasmo per questa persona extra-ordinaria,
lo fa perché lo sente vicino al proprio cuore, alle proprie sofferenze. La
rivoluzione Bergoglio non è nata solo dalla volontà di venire come pellegrino
tra noi scendendo dal trono e sedendosi alla mensa delle periferie del mondo, e
neanche è nata soltanto dalla volontà di aprirsi alle nuove tecnologie, verso
nuovi orizzonti che possano avvicinare il Vangelo al “prossimo”, ma si è
sostanziata da subito con l’attenzione costante verso i poveri, gli emarginati,
gli emigrati (e i migranti), i sofferenti. Attenzione che è amore per l’altro: aiutare
l’altro è un sentimento che nel cristiano “riempie i vuoti, le voragini
negative che il male apre nei cuori”,
liberandolo dalla tristezza.
Nell’omelia pronunziata durante la messa solenne celebrata
nella mattinata con i massimi esponenti del clero molisano e abruzzese nel “Romagnoli”,
che offriva un colpo d’occhio
formidabile con i 20mila fedeli raccolti
nella funzione sacra, il Pontefice tocca i temi della preghiera, della
solidarietà e della carità, che sono “le vie maestre dell’evangelizzazione,
quelle che consentono di guardare al
mondo e di sperare servendo Dio”. “Nella libertà di donare si realizza il
popolo di Dio, e donare ci libera dalla tristezza, dalla paura, dai rimpianti,
dalle lamentele. Dobbiamo avere il coraggio della nostra fede, e invece siamo
più occupati a difenderci che a donare”. Non si stanca mai, questo Papa, di
diffondere la cultura della solidarietà, perché “ nelle situazioni di
precarietà materiale e spirituale occorre infondere coraggio e offrire il
necessario per vivere”.
I suoi
messaggi, che colpiscono per la loro immediatezza, creano cortocircuiti fertilissimi
tra lezione evangelica e concretezza del fare. Sono parole di assoluta
saggezza, ispirate, oltre che dall’elevato
ministero spirituale del Papa, dalla sua profonda umanità, dettate da un
afflato che sembra spingerlo particolarmente verso che è disagiato. Di concerto
con l’Arcivescovo Bregantini, il Pontefice, infatti, preferisce consumare oggi
il proprio pasto con i poveri della Caritas di Campobasso, inaugurando la “Casa
degli angeli di Papa Francesco” .
Straordinaria
quanto unica la sua premura pastorale e la sua tenerezza materna per i malati
(e tanti erano quelli che aspettavano un suo sorriso sia nella
cattedrale di Campobasso che in quella di Isernia): il Papa sosta davanti ad
ognuno non per posa, non come inutile spettatore della sofferenza altrui, ma
come partecipe della sofferenza di Cristo, quasi a volersi caricare anch’egli
quel fardello.
In questa
giornata storica per la nostra comunità, in cui abbiamo conosciuto momenti di
spiritualità, di canti, di riflessione, e in cui abbiamo saputo esprimere con
la compostezza e la sobrietà che ci contraddistinguono l’ affetto e la gioia per questo Pastore, che ha sopportato
con apparente leggerezza il peso di un’esposizione continua, oltre alle fatiche
materiali degli spostamenti per tutti i luoghi che ha toccato, tutto ha
funzionato alla perfezione, s’è vista
una sinergia notevole, imponente il servizio di sicurezza coordinato a dovere dalla
Polizia di Stato. L’Arcivescovo Bregantini nell’appello finale, dopo aver ringraziato chi ha lavorato per la buona riuscita
dell’evento, e aver chiesto al Papa venia per qualche manchevolezza, ha affermato
“Siamo Missione, della prossimità c’è bisogno, agli immigrati va la nostra
preghiera e l’accoglienza”; poi : “il Molise ha bisogno di solidarietà e carità;
Santità, non si stanchi mai di tenerci per mano, confortati dalla Madonna della
Libera”.
Il giorno
dopo, domenica 6 luglio, mentre il Presidente della Repubblica visita i luoghi
della Grande guerra in occasione del centenario dal suo infausto inizio, mentre
il Pontefice durante l’Angelus ringrazia urbi et orbi i molisani per il loro
affetto, e Campobasso torna lentamente alla normalità - via le transenne che
delimitavano il percorso papale,
ammucchiate le 20mila sedie servite ai fedeli per la messa solenne,
spariti i venditori ambulanti di berretti, bandierine e bibite - penso che la
giornata storica che abbiamo vissuto con
tanta emozione per essere davvero memorabile dovrebbe scuotere dal torpore chi può per iniziare un cammino nuovo facendo tesoro delle perle di
saggezza del Pontefice e restituirci la
dignità e il futuro.
Rita Frattolillo - tutti i diritti riservati
Rita Frattolillo - tutti i diritti riservati
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