di
Rita Frattolillo
Dei
tre romanzi della scrittrice nata a
Capracotta (Campobasso), pubblicati tra il 1968 (Oltre la valle) e il 1996 (Il
sentiero di Aracne) con l’intermezzo del 1991 (A colloquio con Belzebù), non credo che siano in molti a sapere che
il primo e l’ultimo sono stati generati nello stesso periodo, pur se usciti a
quasi trent’anni di distanza.
Un
dato non tanto rilevante se Oltre
la valle e Il sentiero di Aracne
sviluppassero un tema simile.
Al contrario, mentre Elvira raccontava il proprio vissuto e quello della
propria famiglia, già si andava concentrando sulla condizione della
donna, che nell’età patriarcale era considerata priva di attitudini creative: è
questo il tema trattato ne Il sentiero di
Aracne.
Quindi,
mentre Elvira assaporava il meritato
successo del primo romanzo, la sua mente già mulinava vorticosamente problematiche epocali che andavano assolutamente
affrontate e sviluppate: la condizione della donna nella società (Il sentiero di Aracne) e le
problematiche del mondo scolastico (A colloquio con Belzebù).
Ma
se dopo Oltre la valle la
penna di Elvira, grazie al suo “cervello a scacchi” - suo copyright- non
si è fermata più, è sicuramente
insolito per il lettore immergersi nel
mito, penetrare in una trattazione etico-filosofica completamente diversa dagli
altri due romanzi.
Elvira si è nutrita di classicità, si è
dissetata alla fonte dei miti greci, qui rimandando in particolare a Ovidio e
all’Asino d’oro di Apuleio, in cui
Lucio si libera della forma ferina per immettersi nel flusso di un’umanità che
tende al Divino. E chi legge, assieme ad Elvira e Aracne, compie un viaggio per
certi versi visionario e surreale tra mito,
storia e filosofia.
E siccome alla Nostra non fa difetto l’estro
poetico, questo romanzo, oltre a presentare come supporto un corposo apparato
di note esplicative, è pure impreziosito con sue poesie o filastrocche del
tempo antico.
Chi è Aracne? Secondo il mito, era una giovane
tessitrice lidia, figlia del tintore Idmone di Colofone, che fu punita per la
sua superbia dalla gelosa dea Minerva. Trasformata nel minuscolo ragno, tesse da allora una tela incolore,
sempre uguale.
Nella
rivisitazione di Elvira Aracne è una donna della buona borghesia che, stanca
della vacuità dei suoi pomeriggi con le amiche sorseggiando tè, tira fuori da
una soffitta un vecchio telaio nell’intento di tessere quando ha tempo e voglia.

Scesa alla prima stazione dopo il confine, si
rende conto che la giovenca è illusione, e quindi Aracne torna nella sua città,
a casa. Ma qui, se capisce di trovarsi in una dimensione fittizia, in quanto
costruita dalla sua mente, d’altra parte si accorge di aver acquisito una
maggiore facoltà di argomentare, facoltà che contribuisce a renderla più
astratta; a ogni tappa cerca di tornare a casa, ma ogni volta se ne allontana,
con conseguenti sensi di colpa. Riprende il telaio, ma ricompare la giovenca -
trasformata in cerbiatto, con gran palco di corna, rappresentazione
dell’ampliarsi del pensiero - e la
conversazione prende un tono sempre più filosofico.
Perché
in realtà ciò che sta a cuore ad Elvira non è soltanto la condizione femminile,
ma anche mettere a fuoco i temi eterni,
quelli indagati dai maggiori pensatori dell’umanità, che lei passa in rassegna.
E’ questo
il viaggio di Aracne, mentre supera valli e monti, sorvola mari, laghi e
foreste, e si trova ad affrontare i nodi etici, esistenziali, filosofici,
metafisici ed estetici cari all’Autrice : il rapporto tempo-spazio, l’essere e
il nulla sartriani, l’Eterno, il cogito
ergo sum cartesiano, la scienza, la
natura, l’aldilà, Dio e il divino. Ma anche la poesia e il suo valore, il dono
dell’immortalità a cui aspira da sempre il poeta.
Di
tappa in tappa, di fantasia in fantasia Aracne arriva fino alle soglie
dell’oltretomba per chiedere la verità.
Poi
si trova sulla riva di un lago e un usignolo (ex cervo) - simbolo del canto e
della poesia, che è capace di sollevare l’uomo al di sopra della contingenza -
la solleva in aria fino all’altra riva; entrambi vedono un castello su
un’altura (simbolo della critica letteraria), e mentre tutto sprofonda
l’uccello soccorre Aracne sollevandola
dalle zolle.
Il poeta, cioè- vuole intendere Elvira -
aspira all’immortalità, ma la poesia da sola non può riconciliare l’Umano e il
Divino, in quanto non riesce a superare
la sfera del mito.
Aracne, delusa dalla poesia, sprofonda nella
preistoria alla ricerca della felicità, ma è disturbata da una volpe, simbolo
del gioco politico. Seguono altri incontri, altri discorsi e la visione dei
drammi della Storia dell’umanità, delle guerre e devastazioni, finché si arriva alla tappa 23.
Questa segna
una svolta, perché una forza esterna alla sua volontà porta Aracne oltre lo
scoglio, simbolo della morte. Nel passaggio dal piccolo al grande mare un prete
l’accompagna, l’aiuta a superare lo scoglio e l’ invita a mantenere la fede. Ad
aiutarla nel passaggio sarà Roald Amundsen(1872-1928), l’esploratore norvegese
che raggiunse per primo il Polo Sud (1911) , morto portando soccorsi a Nobile e
al dirigibile Italia.
Ribadisce
che “ il tempo non passa, ma lo spazio passa, il tempo è come il flusso del
mare che pare che avanzi ed è sempre lì”.
Si
infittiscono quindi le digressioni allegoriche e metafisiche del mito
nell’intento di suffragare la tesi che l’uomo, senza il sostegno della fede,
non può salvarsi, né dare senso alla sua vita, pressato com’è dalle
contingenze, da cui può sottrarsi solo approdando al vero essere che è il sommo
bene. Nella trama dall’alta valenza etico-religiosa si coglie il drammatico dissidio tra l’anelito alla
conoscenza e all’assunzione di un ruolo sociale da parte della donna, il richiamo ai doveri verso la famiglia.
Nel
penultimo capitolo si assiste all’assalto:Hobbes, Leibniz, Cartesio, Kant,
Hegel, accusano Aracne di aver rubato le loro idee, solo Kierkegaard la sprona
a non avere paura.
L’incontro
con Kierkegaard, il padre dell’esistenzialismo, produce l’apologia del Silenzio
“come porsi nell’attimo, che palpita nell’individuo e fuori di lui per cogliere
l’infinito sussurro del mondo”.
E’
necessario che il Divino si accompagni con gli uomini per illuminare il
sentiero che conduce dove il Tempo non passa e lo spazio si assoggetta alla
legge dell’Essere.
Ora
ad Aracne non rimane che la speranza, rappresentata dalle Eliadi, le sorelle di
Fetonte, il quale adombra il peccato originale, per aver voluto imitare Dio
creatore. Ma l’uomo, dice Elvira, senza la grazia di Dio produce solo mostri e
disastri. Dopo altre sequenze, Minerva (la civetta), considerata l’implacabile nemica
dell’evoluzione della donna, strappa ad
Aracne l’ordito e la riporta tra le mura domestiche.
Ma
il ritorno segna anche il ritorno alla fede, accettata durante l’arduo cammino
della mente alla ricerca della Verità, ed è un ritorno che fa scoprire l’unica
via possibile: quella - appunto - della Speranza.
Una
volta a casa, la donna si sente come “una chiocciola respinta nel suo guscio” e
l’istinto la porta in un angolo a tessere.
“Nel fondo rigido e freddo di uno specchio
Circe rideva, mentre le Eliadi mormoravano il loro lamento tra il verde
ondeggiante delle foglie dei pioppi:
-Signore -dicevano-
da chi andremo?
Tu solo hai parole di vita eterna-“
In
definitiva Elvira ravvisa nel mito di Aracne l’emblema della condizione
femminile relegata a ripetere gli stessi gesti, ma individua un superamento di
esso, perché dal senso del mito, grazie all’opera educativa di Dio, è possibile
il passaggio alla speranza nella fede, a Cristo, che è il braccio teso da Dio
verso l’uomo per condurlo dove il Tempo non passa e lo spazio si assoggetta
alla legge dell’Essere.
Rita
Frattolillo © tutti i diritti riservati 2016
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