Ho letto con molto interesse l’analisi firmata da Simonetta Tassinari, amica che stimo e apprezzo, oltre che per le qualità umane, per le doti di scrittrice talentuosa. Ero particolarmente interessata, anzitutto perché il tema dell’emigrazione ci coinvolge tutti – e non potrebbe essere diversamente - e poi perché, a fronte dell’esodo biblico che stiamo vivendo, la voce meno presente è proprio quella degli intellettuali: politici e giornalisti imperversano sui giornali e dai teleschermi a tutte le ore, ma di intellettuali, davvero pochini…
Dunque,
l’analisi di Simonetta, che tocca - con lo stile lieve che è un tratto
distintivo dell’A. - i sentimenti contraddittori degli europei su questa
questione, nell’insieme dà l’impressione
che lei guardi al problema con occhio “filosofico”, un po’ troppo distaccato.
Premesso
che senza ricorrere alla filosofia si è idioti,
ovviamente non nel senso dostoevskiano, ma nel senso dell’incapacità di
comprendere e di stare al mondo, va anche detto che in certi frangenti occorre
scendere dall’empireo, stare con i piedi per terra per
vedere le cose più da vicino …
Limitandomi
a qualche suggestione posta sul tappeto da Simonetta, comincerei da dove lei
afferma che “occorre essere flessibili, pronti nelle risposte, nel realizzare
azioni appropriate(…)E’ evidente che l’accoglienza non potrà essere
indiscriminata e illimitata (…)e senza una buona legislazione, senza scelte
razionali, sensate e rispettose dell’umanità, nascerebbero conflitti non
rimediabili (…)”
Parole sacrosante, queste, a cui aggiungo che siamo contrari ai muri, e che siamo convinti
che tutti nascono umani (parafrasando Einstein) ed hanno diritto al rispetto
della loro dignità.
Tuttavia
c’è un però grande come una casa, in quanto
l’unione europea, nell’ accogliere o nel rintuzzare il flusso migratorio
diventato sempre più massiccio, ha fornito una perfetta prova della sua
completa disorganizzazione e disunione, dominata com’è dagli egoistici
interessi nazionali; e già questo basterebbe a giustificare i timori degli
europei: l’incapacità palese di programmare una strategia comune per
l’accoglienza.
Guardiamo
la realtà dei fatti. Stiamo vivendo un periodo di passaggio tra epoche che sta
sgretolando una dietro l’altra le nostre certezze: il crollo di un mondo col
posto di lavoro fisso, la “novità” dell’esplosione del terrorismo, le rovine
del vecchio ordine mediorientale su cui disgraziatamente è sorto uno “Stato”
che assume e propaga valori che sono la negazione dei nostri valori.
Se questo è lo scenario globale, come essere
tranquilli?
Poi,
ci si rimprovera di non essere più
solidali come una volta con i migranti in arrivo…Come ha scritto Fabrizio Gatti
(L’Espresso del 17.09.2015), in Italia l’umanità generata il 3 ottobre del ’13
dall’immane tragedia dei 366 profughi annegati a Lampedusa sta evaporando
perché i numeri dell’esodo fanno paura; chiunque comprende che essi impattano
sul corpo sociale, e d’altra parte il governo italiano continua a gestire
questo esodo come un’emergenza, dando la netta
- allarmante - sensazione di improvvisare giorno per giorno. Quella del
governo sembra una confusa navigazione a
vista, come dimostra la ricerca affannosa di posti letto (dagli hotel ai
capannoni alle case sfitte) da allestire in ogni dove. E’ l’inefficienza
nell’assistenza e nei controlli degli immigrati
la causa principe del disagio sociale che ormai si avverte, sia pure con
toni diversi, dal nord al sud della Penisola.
I richiedenti asilo devono ricevere, come è
naturale, la giusta assistenza, ma per quanto tempo – dal momento che
l’accertamento dello status di profugo dura più di un anno, quando arriva -
saremo in grado di garantire oltre settantamila pasti tre volte al dì a un
numero crescente di disoccupati stranieri senza nessun futuro?
Se lo chiede F.Gatti e noi con lui.
Disoccupati
che vediamo ciondolare da mane a sera nelle strade delle nostre città, oziare
col telefonino all’orecchio, e che non tarderanno a manifestare contro le
condizioni del cibo o qualunque altra cosa, come già sta succedendo…
Aumenteranno anche gli stranieri, che, se provengono da Paesi non in guerra, saranno
respinti a casa loro. Si tratta di ragazzi giovanissimi (a proposito, con che
cuore hanno potuto abbandonare i loro “vecchi” in mezzo alla
fame e alla guerra?) con scarsa preparazione scolastica e nessuna formazione
professionale rifiutati dalla Germania (e non solo) che, avuto il foglio di
via, diventeranno clandestini, e faranno
quindi perdere le loro tracce. Quanti di essi rimarranno in Italia? Una volta
perduto il diritto all’assistenza e alla
ricarica telefonica, chi gli impedirà di commettere reati per sopravvivere?
Simonetta
a un certo punto si (ci) chiede se il timore generale è che si abbassi il
nostro tenore di vita.
Il
problema numero uno dell’immigrazione massiccia è l’impatto sul welfare; glisso
sul fatto che siamo noi a pagare le spese sanitarie anche per i migranti, ma mi soffermerei su una situazione che
suscita rabbia e malumori: gli italiani
rovinati con ritmo crescente dal dissesto idrogeologico (alluvioni e frane) si
sentono cittadini di serie B perché abbandonati dallo Stato; eppure pagano le
tasse (e non sono poche, come sappiamo),
ma se la devono cavare da soli, pur se hanno perso nel disastro casa e
lavoro, mentre agli emigrati sono comunque assicurati letto, pasti e sanità.
Fa
montare la rabbia, poi, che nelle graduatorie comunali per accedere alle scuole
materne e alle case popolari abbiano la precedenza le famiglie con molti figli,
con la conseguenza che gli italiani, avendo meno bambini, finiscono in coda. E
non si tiene conto del fatto che mentre le donne extracomunitarie, lavorando
solo in casa, possono badare alla prole, le italiane, se vogliono continuare a
lavorare (fuori casa), devono accollarsi la retta delle scuole materne private.
Simonetta ammette che “nell’attuale afflusso
intervengono innegabili differenze di mentalità, religione e tradizione”.
Già.
E ricorda a suon di numeri che
l’identità cristiana finora ha resistito, in Sicilia come in Spagna, come in
Grecia, concludendo con un salomonico: “Se la nostra identità sarà forte,
resisterà; e, se non lo sarà, di chi la colpa?”
A proposito di tale “resistenza” vorrei citare
quanto scriveva (Molise insieme del 30 giugno ’14, p.5) il missionario Padre
Massimo Palinuro sulla scorta della sua esperienza. Nell’attuale Turchia
occidentale, luoghi dove “ il Cristianesimo ha fatto i suoi primi passi sotto
la guida degli apostoli (Giovanni, Paolo, Filippo, Luca e altri apostoli), oggi
il 99,4% della popolazione è musulmana. Nel corso dei secoli, tra alterne
vicende, si è avuta una graduale e inesorabile islamizzazione coatta di questa
terra. Nel 1915, dopo secoli di dominazione ottomana, il 20% della popolazione
dell’attuale Turchia era ancora cristiana. Nel giro di pochi decenni, tra il
genocidio armeno e la pulizia etnica contro i greci, questa presenza cristiana è stata quasi sradicata. Lo stesso
processo sta avvenendo in maniera raccapricciante in Siria, in Iraq, in Egitto
e in molti altri paesi a maggioranza islamica, nell’indifferenza complice di un
Occidente che ha rinnegato le sue origini cristiane(…). In Turchia la comunità
fondata dagli Apostoli continua a vivere, pur vivendo in una condizione di
diaspora e sperimentando il dramma dell’incomprensione e del martirio. Qui
essere cristiani richiede un grande coraggio; qui è contemplato il “reato di
missionarietà”, e persino mantenere aperta una chiesa è un’operazione complessa
e rischiosa.(…) Si è cercato di cancellare e marginalizzare ogni traccia del
Cristianesimo(…)”.
Lungi
da me l’intento di provocare allarmismi, ma, per restare in linea con la
domanda di Simonetta “Se la nostra identità sarà forte, resisterà; e, se non lo
sarà, di chi la colpa?” è naturale chiedersi: noi sapremmo difendere fino al
martirio la nostra identità cristiana, come hanno dimostrato, ad esempio, gli
armeni? Noi europei, considerati da più parti il “ventre molle” dell’Occidente,
ritenuti pigri, titubanti, imbelli, saremmo – all’occorrenza -- tanto
determinati da imbracciare le armi per difendere i nostri principi religiosi? E
se il Cristianesimo, dal Concilio Vaticano II in poi si va aprendo sempre più
al dialogo interreligioso alla ricerca di una lingua condivisa, non credo si
possa dire altrettanto dell’Islam. Islam, che, nelle sue varie
declinazioni, è una religione che
esprime un’esigenza di assolutezza.
Il
Corano afferma ripetutamente che la pace
è l’obiettivo principale e il bene supremo della vita umana, ma l’impegno per
la questione dell’Islam (gihad), come lotta per la fede e il dominio della
religione, spetta come obbligo a ogni musulmano. Quindi, prioritaria la
diffusione della religione in tutto il mondo, secondo i dettami di Maometto,
che esortò i credenti alla lotta in nome di Dio e della religione. Anche se è
viva una tradizione di pace, sentita da molti credenti musulmani, essa viene
offuscata in noi europei giorno dopo
giorno dall’Islam militante, per la brutalità e la barbarie inenarrabili con
cui sta distruggendo fisicamente gli
“infedeli” (i cristiani) e persino gli straordinari monumenti plurisecolari
colpevoli solo di essere un prodotto preislamico; è questo volto truce, ultimamente
vincente, a far valutare negativamente a noi europei tutto l’Islam nel suo complesso, ci ghiaccia
e ci fa perdere la speranza di poter
convivere un domani con chi si impone – lo dimostra la cronaca - con la violenza.
Mentalità
e Tradizione. L’Islam pervade tutti
i settori della vita politica, pubblica e privata, e si oppone con
forza a tutte le tendenze di
secolarizzazione. Contempla, tra l’altro, una concezione della donna molto
distante da quella occidentale, che non possiamo accettare. Il riconoscimento
dei diritti inalienabili è stato una conquista ottenuta lungo secoli di
battaglie portate avanti per ottenerli; figuriamoci che nel vicino 1997 fu
ancora necessario formulare il documento “La carta dei diritti della
bambina” per assicurarne l’approvazione
da parte della maggiornaza dei Paesi “civili” (Conferenza mondiale di Pechino
sulle donne del 1995 organizzata dalle Nazioni Unite). Questo per dire che la mentalità musulmana riguardo alla
condizione femminile ci getterebbe nel medioevo. Del resto, per comprendere in
che modo è considerata la donna, basta ricordare che nel Paradiso (Jannah)
degli eroi musulmani, coloro che hanno combattuto per la loro fede sono
premiati con il dono di ben 72 vergini (houri), da “usare” per il loro piacere
all’infinito. E per le donne martiri? Bene, a loro deve bastare un solo uomo….
“I
nostri punti di riferimento non cambieranno, e tutto ciò che ha formato e
nutrito la nostra anima non verrà toccato” afferma Simonetta.
Non ne sarei altrettanto sicura, e penso a
quelle maestre che, per non “urtare la
sensibilità” dei bambini musulmani, per la festa di Natale non hanno allestito
il presepe, né fatto cantare gli anni natalizi. Questo è solo un esempio, che
può sembrare banale, ma la dice lunga
sulla confusione che già regna circa la custodia delle nostre tradizioni e
la loro trasmissione ai giovani. Se ai
nostri bambini mancheranno queste forme della tradizione (che tutte
confluiscono nell’identità), come potranno nutrirne la loro anima? Va da sé e
dò per scontato che nel melting pot che si è creato urge introdurre nelle
scuole la disciplina “Storia delle religioni”.
“
I mondi finiscono e ricominciano di continuo”, tra gli altri lo potrebbero confermare i pochi pellerossa scampati ai “visi pallidi”,
così come lo potrebbero confermare gli
aztechi, se non fossero stati annientati dai conquistadores spagnoli – la mia mente va al magnifico romanzo Mexica
di Simonetta, che proprio di questa tragedia tratta -, e noi che siamo in mezzo a questa odierna svolta
epocale l’avvertiamo e come!
Ma
c’è pure un tarlo fastidioso: sulle cause della caduta dell’impero romano
d’Occidente e della fine del mondo antico influirono parecchio le migrazioni
barbariche e la pressione dei barbari, oltre alla caduta dei valori del mondo
classico e la decadenza del senso civico; e fu proprio un comandante barbaro
dell’esercito romano, se non ricordo male, a
deporre l’ultimo imperatore d’Occidente, nel lontano 476.
E
se la storia in questo caso non è, come dovrebbe essere, magistra vitae, allora
sono i Corsi e Ricorsi storici di
Giambattista Vico a dare un ulteriore rinforzo..
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