Rita Frattolillo
A Mosca, con la bella stagione, al Belvedere dei passeri che
si apre davanti all’imponente edificio dell’Università statale Romanov (fondata
nel 1755 da Michele Romanov) e offre un colpo d’occhio formidabile sulla città
attraversata dal nastro argenteo della Moscova, va in scena il popolo dei
centauri, una folla di giovani nerboruti in jeans e giubbotto che
sull’imbrunire invadono lo spiazzo a
bordo di moto luccicanti e dal rombo
potente; poi, spento il motore, parcheggiano
e, allungati sul loro bolide, birra e sigaretta in mano, raccontano per buona
parte della notte le loro prodezze ai vicini di manubrio. Dopo un po’, l’aria,
carica di fumo, dell’odore pungente della birra e dei tubi di scappamento,
diventa irrespirabile. La Mosca
di oggi ama la vita notturna, bere e divertirsi, anche se i casinò sono stati
chiusi da un pezzo e i moscoviti sanno che il Grande Fratello, non il reality, ma quello vero, li controlla
notte e dì.
Mi trovo da qualche ora nella capitale della confederazione
russa grazie ad un viaggio agognato da anni e finalmente realizzato, e ora che
sono qui mai avrei creduto che la sua visione dovesse scuotermi tanto. I miei
occhi viaggiano sopra al panorama della città stesa ai miei piedi e mi pare di
trovarmi in un altro mondo, provvisto di una grandiosità che non è dovuta solo
agli spazi immensi. Ovunque butto l’occhio, è come se vedessi dentro a un
caleidoscopio, poiché su qualunque cosa io fissi lo sguardo, si aggiunge quanto appreso nei libri o dai media. Cerco a
fatica di far ordine tra i sentimenti che mi si affollano nel cuore. Lontana
non solo geograficamente, la Russia mi è sempre apparsa come un terra dai colori
forti e spesso contrastanti: Ivan il Terribile e i Bojardi, le taighe e la Siberia,
i girasoli e le betulle, Pietro il Grande e Caterina II, la Rivoluzione
bolscevica e la cortina di ferro, Guerra
e Pace e Resurrezione, Nabokov e Solzenicyn, le figurette volanti
nei cieli azzurri di Chagall e il dottor Zivago tra la neve, le danze cosacche,
Rasputin e lo splendore delle icone. Il tutto in una specie di limbo brumoso.
Ma forse il sentimento che mi coglie dipende anche dalla
deformazione mentale di noi occidentali, condizionati come siamo da una visione
unilaterale costruita sulla stratificazione di un bagaglio di conoscenze
comunque “viziate” da una scarsa
obbiettività. Forse dovrei
adottare il punto di vista russo, o, almeno, guardare il loro mondo con occhi
sgombri…chissà.
Da questo Belvedere resto in muta contemplazione dello sconfinato
complesso urbano, in cui si distinguono lo stadio Lenin e imponenti
edifici svettanti in diversi punti, chiamati “Sette sorelle”.
Megalopoli di 13
milioni di abitanti (stime ufficiali) di cui 3
milioni musulmani, con 3 moschee (la 4^ è in costruzione), 2 chiese cattoliche, un numero indefinito di
quelle ortodosse, 5 stazioni ferroviarie
(ubicate nei vari punti cardinali, a seconda delle destinazioni) e svariati
aeroporti, Mosca si estende su sette colline, come Roma, Lisbona e Istanbul, e si
mostra al visitatore come una gigantesca,
luminosa vetrina che offre il meglio di sé, anche se le sue pietre lasciano
leggere la storia complicata che l’ha segnata da quando non era che un piccolo villaggio di legno e
fango sulle rive del grande fiume da cui ha preso il nome.
Gli edifici del costruttivismo staliniano si distinguono per
il grande arco d’ingresso al cortile, mentre quelli brezneviani sono tutti
eguali, anche nel colore, che è di un celestino tenue. Le “Sette sorelle”
sono costruzioni gotico-moderniste
terminanti con torri gugliate - destinate all’amministrazione pubblica (per lo
più ministeri) e all’Università - volute da Stalin in occasione
dell’ottocentesimo anniversario della fondazione di Mosca (1947). Oggi alcune di
esse esibiscono le insegne luminose degli hotel pentastellati.
Qua e là saltano agli occhi i segni della passata, severa e
ancora un po’ minacciosa capitale del regime sovietico: il grigio edificio
della Duma, quello della famigerata Lubianka, sede della Polizia segreta, incombono, e non sono la proiezione
dell’immaginazione coltivata in decenni di romanzi e film di spionaggio, né il
risultato del battage mediatico sulla
guerra fredda e la cortina di ferro. D’altronde sono le nostre guide russe a
spiegarci che l’unica chiesa cattolica, S.Luigi dei Francesi, che non era stata chiusa durante il periodo
sovietico solo perché frequentata dal corpo diplomatico, era circondata da un
bel numero di telecamere del KGB a cui non sfuggiva nessun movimento.
Sarà la suggestione, ma neanche il palazzone presidenziale,
denominato, guarda un pò, Casa Bianca, ispira fiducia, con la sua lunga
facciata intercalata da colonne piatte e sormontata dall’alto corpo centrale.
Tuttavia, chi si
aspettava di trovare la città disseminata dello storico emblema della falce- e-
martello rimane deluso; ne è sopravvissuto
solo qualcuno tra i decori della metropolitana, realizzata verso il 1935 con
profusione di statue e rivestimenti artistici (stucchi, vetrate e lampadari
liberty, mosaici) che la rendono tra le più belle del mondo, e sulle cui linee
ogni giorno si spostano 4 milioni di moscoviti. Negli alberghi, come in tutti i
luoghi pubblici da noi visitati, esso è stato rimpiazzato dalla risorta aquila
bicefala di memoria asburgica.
Ma non è solo il
simbolo dei lavoratori ad essere finito in soffitta. Infatti una tenace volontà
di rinnovamento ha cambiato la faccia e l’atmosfera di molti quartieri. Nel
giro di qualche decennio tutti i palazzi importanti e i monumenti, chiese comprese, sono stati restaurati
e rimessi a nuovo. Aggirarsi per le strade lunghissime e ampie bordate di
fiori, tra le facciate di edifici storici perfettamente tenuti, visitare le
chiese ortodosse (oggi spesso sconsacrate e adibite a musei) dalle cupole a
elmo o a cipolla favolosamente colorate
e dagli interni abbaglianti di luci e affreschi, dà la vertigine e al tempo
stesso mi dà la piena consapevolezza di quanto presuntuosi siamo noi
occidentali nel considerarci troppo spesso l’ombelico del pianeta in quanto i
fortunati eredi della ineguagliabile cultura
classica.
Intanto, mentre i pensieri galleggiano alla superficie della
mente, girando per strade e piazze mi accorgo di una “strana” assenza: neanche
l’ombra di barboni, mendicanti o “vù compra”, niente musicanti girovaghi lungo
le strade o nelle stazioni del métro, niet
scritte sui muri! Se penso che nelle nostre città ormai facciamo la gimkana tra un’orda umana di varia
provenienza che chiede (o pretende) l’obolo, e che i vagoni del métro sono
un’accozzaglia di sporcizia e coloracci spruzzati da vandali sedicenti wrighters, qui mi sembra di essere
caduta su un altro pianeta…Nessuno che salti sui tornelli sotto lo sguardo
indifferente dei “vigilanti”, per accedere ai vagoni senza ticket, scena che ho
visto troppe volte a Roma come a Milano per non rimanere sbigottita! In
superficie, poi, malgrado il traffico intenso
(noto tante le auto costose non ancora
viste in Italia) e la fiumana di gente, la megalopoli è pulitissima e molto ordinata. Il traffico è scorrevole, ben
regolato; niente parcheggi selvaggi, come da noi, niente auto ferme sugli
scivoli o sulle strisce, o ammucchiate, come da noi, in seconda o terza fila …
Mi vengono a mente
gli occhi di ghiaccio di Putin, il suo enorme potere, ma anche la
responsabilità tremenda di governare e tenere assieme, dopo il dissolvimento
dell’Unione sovietica, i 143 milioni di russi, espressione di provenienze,
etnie e culture tanto diverse tra loro. E’ indispensabile adottare un sistema forte,
basato sul controllo, sul rispetto delle regole: ne ho un buon esempio davanti
agli occhi.
Non
occorre infatti essere osservatori acuti per accorgersi che la Polizia è
onnipresente, troviamo dappertutto vigilanti
e unità cinofile nelle metropolitane, spazzini e giardinieri al lavoro a
qualunque ora. Tutti sembrano prendere molto sul serio il loro incarico,
nessuno tira a campare o lascia correre (arte in cui- a quanto pare - siamo noi
italiani i maestri). Il culto dei fiori, le aiole coloratissime, gli alberi di
mele verdi (che per il clima freddo non arrivano mai a maturazione, ma poco importa,
fanno piacere alla vista), i molti parchi richiedono un lavoro capillare e
preciso (occorre sostiuire quel fiore di un certo colore…); neanche a pagarli
troviamo una foglia secca, un fiore appassito o una cartaccia buttata per
terra. Dietro a tanta pulizia c’è un
lavoro indefesso di centinaia se non migliaia di addetti (quasi sempre giovani,
cosa che spiega un tasso di disoccupazione bassissimo, al 3%). Quanto ho visto
basta e avanza per fare un confronto immediato e sconfortante con le nostre
città, che se non altro per le loro microdimensioni
potrebbero essere tenute come gioielli, mentre troppo spesso, per l’incuria colpevole
di chi non fa rispettare le regole, sono
trascurate e abbandonate al degrado, in balia di una massa sconsiderata che ha smarrito (se mai lo aveva avuto) ogni
senso del vivere civile e del rispetto più elementare, oltraggiando con uguale indifferenza uomini e cose. E’
triste a dirsi, ma dovremmo chiederci dove è finita la nostra civiltà, parola di cui ci riempiamo
troppo spesso la bocca!
***
La capitale russa celebra
doviziosamente i suoi grandi,
intellettuali, artisti, condottieri e politici : i monumenti a Gogol, a
Tolstoj, a Pushkin, a Cechov, a Belyi (solo per citare alcuni scrittori), a
Nureyev, sono magnifici, e spesso le loro abitazioni sono case-museo (come
quella di Marina Cvetaeva, o del compositore Aleksandr Skrjabin); ecco Gorkij
Park, quello che ha dato il titolo al famoso romanzo di Cruz Smith Martin che mi
ha tenuto con il fiato sospeso, mentre villa Gorkij, in stile liberty, ora
museo, fu donata allo scrittore da Stalin che gliel’assegnò dopo averla espropriata al
legittimo proprietario, il mercante Rjabusinskij, che se l’era costruita per sé.
Il Conservatorio, fondato da Chajkovkij, è preceduto dalla statua del grande
compositore, il Museo di belle arti è intitolato a Pushkin. La statua equestre
del comandante Zuchov, vincitore della seconda guerra mondiale, domina lo
spiazzo antistante l’accesso (attraverso la Porta della Resurrezione) alla
Piazza Rossa.
Cuore antico di
Mosca, la Piazza Rossa era al tempo
degli zar punto d’incontro tra vita civile e religiosa, teatro dei mercati e
delle feste popolari, ma anche delle esecuzioni, come conferma il patibolo in
pietra a forma circolare, dove Pietro il Grande
nel 1698 mandò a morte ben 2mila guardie che gli si erano ribellate.
Estesa ad est del
Cremlino, è delimitata da un’infilata incredibile di architetture risalenti a
diverse epoche e decisamente sincretiche, ma tutte ben armonizzate tra loro. Per
quanto è suggestiva, grandiosa e piena di bellezze, lascia sbigottiti:
percorrerla tutta richiede gambe leggere, ma l’impresa vale la fatica.
Nessuna dissonanza, tra la chiesa (ricostruita nel 1993 dopo
essere stata abbattuta durante il regime comunista) della Madonna di Kazan,
dedicata alla Vergine alla cui intercessione il popolo attribuì la vittoria sui
polacchi, e la lunghissima facciata dei
magazzini di Stato Gum (niente da spartire con la nostra idea di magazzini:
questi sono tre gallerie parallele con copertura trasparente a botte, scale
mobili, bar e aiuole annaffiate a vapore, su cui si affacciano boutique
delle maggiori griffe mondiali). In
fondo alla piazza si erge la cattedrale-museo di S. Basilio (voluta da Ivan il
terribile dopo la vittoria sui Tartari a Kazan) con le sue cupole fiabesche, bizzarre
e coloratissime.
E’ dedicata al
veggente nonché beato Basilio, lì sepolto, il quale predisse a Ivan che avrebbe
ucciso il proprio figlio, cosa che
puntulamente accadde.
Una leggenda vuole
che Ivan, finiti i lavori della chiesa, fece accecare i due progettisti Barma e
Postnik per impedire che realizzassero monumenti simili. Un po’ come il Borbone
“ringraziò” l’architetto Luigi Vanvitelli dopo la realizzazione della reggia di
Caserta, insomma.
Davanti alla
cattedrale di S. Basilio è stato eretto il monumento ai due eroi nazionali Minin
e Pogiarskij, l’umile macellaio e il principe che sconfissero definitivamente i
Polacchi nel 1612. Sulla destra, in perfetto contrasto con le brillanti vetrine
dei magazzini Gum, si distinguono il giardino-cimitero dove sono sepolti i
resti di alcune figure cardine della Storia russa (Stalin, Breznev, Andropov,
Cernenko), il lungo mausoleo di granito rosso e porfido a gradoni di Lenin, l’uomo
che tanta parte ha avuto nella storia nazionale e mondiale.
La fiamma perenne, che è presidiata da un picchetto d’onore,
arde per il Milite Ignoto caduto nelle guerre.
Guerre recenti di cui
è ancora vivo il ricordo, qui come a S. Pietroburgo, che subì 900 giorni di
assedio nazista, e come nel monastero di S. Eufemio, che ospita il piccolo,
lindo cimitero dove sono sepolti mille dei nostri soldati deportati dopo la
terribile battaglia di Stalingrado (1943).
In quel monastero,
che visiteremo, una sala conserva i documenti del loro passaggio, espone i
disegni eseguiti dai soldati
sopravvissuti, tra cui tale Giuseppe Bassi. Ci informano che lì negli anni ’60
hanno girato diverse scene del film di Tarkovski sul monaco artista quattrocentesco
Rublev, ma quello che mi ha colpito è
stato constatare con quale fierezza le nostre guide, sentendosi un po’
italiane, ci mostravano i quadri donati al
monastero dal “nostro” Tonino Guerra, che li aveva eseguiti tra il 1999
e il 2001. Niente male, il talento artistico del nostro compatriota!
***
Dalla Piazza Rossa si
accede al Cremlino attraverso la Porta della Trinità (costruita su progetto
dell’italiano Aloisio da Carcano), sormontata dal simbolo delle forze armate, la
stella rossa, che, girando lentamente su
se stessa, brilla in alto nella notte. Il Cremlino (termine che significa “cittadella
fortificata”) è il nucleo antico del villaggio da cui ebbe origine Mosca. A
struttura triangolare, è circondato da oltre due chilometri di alte mura.
All’inizio costruito in legno (1156) come il nucleo originario di S. Pietroburgo
(la Fortezza dei SS. Pietro e Paolo), fu via via sostituito da edifici in
muratura che Ivan il Grande fece ampliare e ristrutturare da architetti russi e
italiani, tra cui Antonio Solari e Marco Ruffo (a S. Pietroburgo furono soprattutto i due Rastrelli e Carlo Rossi a dare il volto
alla città), che seppero fondere
mirabilmente le linee architettoniche occidentali con quelle slava e asiatica. E
infatti le 19 torri che movimentano l’imponente
cinta muraria sono ispirate alle linee del Castello Sforza di Milano.
Teatro dei maggiori eventi della storia del Paese, sopravvissuto
alla rabbia di Napoleone che ne fece saltare in aria alcune parti, e
all’invasione dei bolscevichi nel 1917, il Cremlino è stato aperto al pubblico
nel 1955. Tra i suoi edifici sono passati patriarchi, zar e Napoleone, che qui vide svanire il suo sogno
di conquista. Nel dopoguerra Kruscev vi studiò i piani da adottare nella politica della guerra
fredda mentre si andava convincendo che “ l’Europa è la nostra casa”, poi
Gorbaciov vi iniziò la sua perestroja; Elstin varò la nascita della nuova
Russia. Ora è qui che Putin, forte di un
consenso popolare dell’85% (dati del novembre 2014), guardando in direzione della Cina, porta
avanti la sua politica nazionalista tesa a
rendere più forte il gigante russo, che è dotato di ricchezze naturali enormi e di uno
straordinario potenziale umano.
Costituito da diversi nuclei, il Cremlino racchiude tra le
sue mura molte chiese perché acquistò importanza particolare dopo essere
diventato la sede centrale della Chiesa russa. Esse hanno linee fiabesche, e
sono caratterizzate dalle cupole dorate o argentee che contrastano con il rosso
delle mura. Ben sei ne sono concentrate nell’incredibile piazza delle
cattedrali, diverse per stile (da quello bizantino al rinascimentale impresso
dagli architetti italiani) e
funzione, tutte fastose. Una
piazza destinata a incidere - nell’intento degli zar - sulla spiritualità del
popolo, ma anche a renderlo partecipe della vita della nazione. Di questi
templi, il duomo della Dormizione (o Assunzione), con le sue cinque cupole
dorate, è quello legato ai maggiori avvenimenti del paese. In questo duomo erano cantati i Te Deum
all’inizio di una campagna o dopo una vittoria, venivano resi pubblici gli atti
statali. Qui erano scelti e intronizzati (e anche sepolti) i capi della Chiesa,
venivano consacrati i monarchi, e a tale
proposito si racconta che Elisabetta, per raggiungere da S. Pietroburgo questa
cattedrale dove doveva essere incoronata, viaggiò per tre giorni (un vero
record per quei tempi) sulla sua carrozza a slitta trainata da sette troike,
carrozza che ho potuto ammirare all’Armeria reale. Fu costruita nel 1400 su progetto del bolognese Aristotele
Fioravanti che si ispirò alla chiesa di Vladimir, la cui Madonna, la più venerata in Russia, è affrescata al di
sopra della porta principale. Chiusa al culto dai bolscevichi nel 1918, e
spogliata di tutto come ogni altra chiesa, è stata restituita nel 1989 e oggi è
un luogo di rara bellezza. Se ne possono ammirare l’iconostasi, gli affreschi
delle scuole di Novogorod e di Pskov.
Il duomo dell’Annunciazione, dalle cupole dorate e azzurre, voluto
sul finire del 1400 dal gran principe di Mosca Ivan III Vasilevic, era
destinato alle cerimonie domestiche e private, battesimi e matrimoni.
Accanto, la chiesa
dell’Arcangelo Michele si deve ad Aloisio Nuovo, che la costruì agli inizi del
1500. Dedicata all’Arcangelo che, essendo un guerriero, era considerato dai
principi di Mosca il loro protettore, è in stile bizantino russo ma con
influenze del rinascimento veneziano. E’ stata
la necropoli di tutti i signori di Mosca fino al 1690 e custodisce le
tombe di Ivan il Grande e di Ivan il Terribile.
Di fronte a tante bellezze, non si può non pensare
all’estrema povertà della servitù della gleba che si dibatteva tra gli stenti,
la fame e il gelo dei lunghi inverni da
affrontare con i calzari di corteccia di
betulla…Con quale animo, leggendo il Vangelo
o inchinandosi davanti alle splendide icone, il potere politico e quello
religioso hanno potuto tollerare quello stato di cose, senza nessuna pietas, e
senza neanche prevedere quale fuoco
covasse sotto la cenere!
Il lato occidentale è
occupato dal Palazzo dei diamanti, costruito nel 1400 su progetto di Ruffo e
Solari che si ispirarono all’omonimo Palazzo di Ferrara. Impossibile visitare
tutte le chiese, i musei e gli
appartamenti degli zar e delle zarine,
custoditi all’interno di questo che è
nel mondo il simbolo di Mosca e dell’intero Paese.
Ma c’è anche da
aggiungere che gli infiniti tesori qui
racchiusi si godono poco a causa della
barriera linguistica: disgraziatamente
il turista si trova disorientato di fronte alle scritte in cirillico; solo
raramente c’è un cartello in alfabeto latino, cosa che mette non solo a dura prova la volontà di muoversi senza la
guida, ma rende anche impossibile la
comprensione delle didascalie, che, beffardamente, danno spiegazioni
incomprensibili nelle teche sotto ai preziosi tesori degli zar, alle
straordinarie icone, alle armi, ai quadri esposti nei ricchissimi musei.
La chiusura linguistica contrasta con la volontà di
modernità portata avanti dal governo: come aprirsi davvero se si rimane così
impermeabili alla necessità di comprendere ed essere compresi? Non è stato raro
percepire lo sguardo ostile del vigilante di fronte ad una nostra richiesta di
informazione espressa in inglese (ancora peggio se in francese..l’affronto
subito da parte di Napoleone non è acqua
passata!). Eppure, il turismo estero è quanto mai fiorente, e sicuramente ha il
suo bel peso nel budget nazionale.
Che sia il retaggio di un passato plurisecolare punteggiato
da invasioni e saccheggi?
Un passato di cui
resta traccia anche nelle credenze religiose. Molte leggende, ad esempio, sono
fiorite intorno all’intercessione della Vergine, la quale avrebbe salvato
diverse città dagli attacchi nemici, per
cui il popolo venera la Madonna di
Smolensk, di Kazan, di Vladimir, del Don.
Anzi, la Madonna del Don
è la protrettrice degli eserciti da quando, nel lontano1380, dopo che lo zar
Fedor Ivanovich aveva esposto la sacra immagine sul luogo della battaglia, la
Vergine apparve in sogno al tartaro Giri mentre bersagliava il suo esercito con
frecce infuocate. Il nemico fuggì. Come ringraziamento, Fedor fece innalzare il
monastero Donskoj per ospitare l’icona della Vergine.
Monasteri e cattedrali sono stati dedicati anche al difensore
della Russia per eccellenza, il principe-soldato Alexandr Nevskij (1220-1263),
proclamato santo dal sinodo della Chiesa ortodossa russa nel 1547. E’ considerato
con Ivan Susanin eroe nazionale perché difese
le terre del Nord-Ovest dagli svedesi e dai tedeschi del Baltico. Sulle
sue gesta il regista Sergej Michajlovich Ejzenshtejn ha girato un film nel 1938
(restaurato nel 1986) con musica di Sergej Prokofiev.
La celebre vittoria nella battaglia della Neva, che gli valse il soprannome “Nevskij”, è solo uno
degli eventi bellici che contrastarono i tentativi di invasione del territorio
che era già stato occupato dai russi (gli antichi vichinghi), qui giunti dal
Nord attraverso le vie d’acqua.
Ma svedesi e norvegesi non davano tregua, e anche
i mongoli minacciavano incursioni dall’Asia, tanto che nei secoli successivi, sul
territorio, specie intorno alla capitale, sorsero complessi monastici dall’aspetto di fortezze, dotati di torri di
guardia e mura merlate.
E di vere e proprie costruzioni di difesa si trattava, perché i dominatori asiatici dell’Orda d’oro
periodicamente sottoponevano la città a violente incursioni durante le quali
uccidevano e saccheggiavano. La popolazione quindi si rifugiava nei monasteri,
finché la furia dei tartari non si placava, e
poteva così tornare alle proprie occupazioni e alle campagne.
Visiteremo diversi di questi complessi, detti dell’Anello
d’oro, tra cui il monastero di S. Sergio (Lavra di S. Sergio Posad) che è il
centro dell’ortodossia russa, paragonabile per importanza al Vaticano.
Il complesso, che
ospita il seminario, la biblioteca, la scuola delle icone, l’accademia, il
refettorio, e, ovviamente, un gran numero di chiese, è meta di pellegrinaggio
perché qui si trova una fonte di acqua “miracolosa”, e perché nella chiesa
della Trinità, dove si ammira l’iconostasi sublime del monaco Rublev, è sepolto
il santo.
Le donne, a capo coperto, fanno lunghe file in silenzio
biascicando litanie. C’è anche un giovane pope barbuto che spinge la carrozzina, seguito dalla moglie
con un altro bimbo per mano. Nel vederlo, penso che i termpi sono maturi perché
anche da noi - seguaci di Santa Romana Chiesa - i sacerdoti possano mettere su
famiglia; i tempi sono maturi, ma non per le alte gerarchie ecclesiastiche, a
quanto sembra!
Aleggia una storia
intorno alla chiesa della Trinità, che è famosa anche perché vi fu sventato
l’assassinio di Pietro il Grande. Si racconta che quando arrivarono i sicari
mandati da Sofia, sorellastra dello zar, i monaci prontamente nascosero Pietro
dietro alla Porta Santa, dove nessuno può accedere, tranne gli officianti. Così
Pietro si salvò, ma non per questo dimenticò
il pericolo che Sofia rappresentava, tanto che la fece rinchiudere per sempre
nel monastero delle Vergini (Novodevicij), così chiamato perché secondo la
tradizione i tartari da quelle parti vendevano le prigioniere. A Novodevicij venivano inviate per punizione mogli
ripudiate, figlie ribelli e sorelle
inaffidabili degli zar. Una prigione dorata, ricchissima in ogni suo angolo,
abbellita via via dalle varie “prigioniere”. Un piccolo cimitero custodisce,
oltre alle spoglie delle badesse e delle principesse reali, anche quelle di
Kruscev. Ironia del destino! Un
“vero”comunista finito accanto alle donne espressione dell’odiato potere religioso e dell’assolutismo
imperiale!
***
Uno scrittore di cui ricorre spesso il nome nella bocca dei
moscoviti con tono reverenziale è Dostoevsky.
Nei suoi ineguagliabili romanzi descrive con cupo realismo le coabitazioni da
incubo che fortunatamente da diversi decenni sono solo un brutto ricordo; nello stesso appartamento (spesso negli angoli
della stessa camera) si era costretti – ci dicono le nostre guide - a stare con
altre famiglie, in una difficile e litigiosa convivenza per l’uso dei servizi
(cucina e gabinetto) in comune. Oggi, il moscovita proprietario di un
appartamento di 60-70 mq paga una bolletta condominiale annua di 5500 rubli (il
corrispettivo di 120 euro mensili), comprensiva di tutte le utenze (luce, gas,
telefono, riscaldamento, spazzatura).
A dare un’accelerata alla soluzione del problema abitativo
fu Breznev, che negli anni ’90 garantì l’agognata privacy ai moscoviti dando il
via al boom edilizio; ebbe l’idea straordinaria di ricorrere anche ai
prefabbricati per velocizzare i tempi.
Niente da spartire, ovviamente, con l’edificazione dell’
“ottava sorella”, il Triumph Palace, un edificio residenziale costruito
rispettando le linee architettoniche delle “sorelle”precedenti, con oltre 1000
appartamenti lussuosi e tecnologicamente attrezzati.
Comunque, gli operai edili
oggi guadagnano il corrispettivo di 1200 euro al mese, ma sono pochi i lavoratori russi, per la maggior parte si
tratta di uzbeki, tagiki, kirghisi, che, pur se parlano solo la loro lingua
(dopo la svolta della pereztrojka non è
obbligatorio imparare il russo) vengono qui in cerca di lavoro dopo aver ottenuto
il permesso, li vediamo lungo le strade.
La disoccupazione è
bassissima, ma la vita costa, specie l’alimentazione, perché è quasi tutta di
importazione. I moscoviti spendono da Auchan, ritenuto meno caro, il made in
Italy è un mito inseguito quotidianamente,
il turismo è al massimo, e moltissimi sono i turisti con gli occhi a mandorla.
Tappa d’obbligo di
ogni turista è la via Arbat, arteria stradale chiusa su due lati
dalla Moscova, dove si susseguono bar, gioiellerie, antiquari. Questa strada, la
cui parola - araba - significa sobborgo, in quanto si sviluppò come tale,
divenne il cuore commerciale abitato dai mercanti orientali, e solo in seguito venne
“adottata”da intellettuali come Turgenev, Bulgakov, Pushkin, che volentieri vi
passavano il loro tempo. Un bel gruppo bronzeo rende omaggio a quest’ultimo,
che a Mosca era nato nel 1799, aveva studiato nel liceo imperiale vicino a San
Pietroburgo, e nella città imperiale - che gli ha dedicato piazze, palazzi e la
celebre statua del “Cavaliere di bronzo” - trovò una sorte tragica, ma molto
romantica, che sicuramente ha contribuito alla sua fama.
Aveva trentotto anni quando per difendere l’onorabilità
della bellissima consorte Nathalia, concupita - a quanto si sa- dallo stesso
zar, sfidò a duello un incauto corteggiatore, ma ebbe la peggio e le ferite
inferte gli furono fatali. Il gruppo bronzeo raffigura lui e la bella moglie,
sereni ed eleganti, mentre sembrano
godersi il passeggio dell’animatissima via Arbat.
Il “Falco pellegrino” impiega 4 ore per coprire i 680
chilometri che separano Mosca da San Pietroburgo. Sono a bordo di questo treno
GV, che di nuovo mi sorprende perché, a differenza delle nostre “Frecce”, è
pulitissimo e molto accogliente: fiori freschi sui tavolini, audiocuffie pro
capite usa e getta, servizi igienici ampi e lindi, vagone ristorante ben
fornito e dai prezzi giusti, passaggio continuo di carrelli-bibite, servizio
instancabile di raccolta rifiuti. Lasciata Mosca alle spalle, appunto lo
sguardo sul paesaggio che mi sfila rapidamente davanti. Pianure sterminate sono
interrotte da minuscoli villaggi sperduti, campagne incolte cedono qua e là a
boschi di conifere e di alte betulle dalla bianca corteccia. Mimetizzate tra il
verde vedo basse casette dai tetti spioventi. Sono le povere isbe dei
contadini, costruite con tronchi di alberi incastrati tra loro. Ben diverse dalle
confortevoli dacie annidate tra i boschi, dove i ricchi vengono per il week-end o con la bella
stagione. Il treno attraversa veloce la Russia profonda, sconfinata e povera,
immutabile. Un deserto. Contrasto perfetto con la luccicante istantanea che mi
ha consegnato Mosca. Vedo donne anziane che lavano curve i panni nell’acqua
gelida del fiume, qualche vecchietta seduta mestamente davanti alla porta con
un magro cestino di cetrioli e di cipolle da vendere…
Giungiamo a San Pietroburgo, la città di cui il suo
artefice, Pietro il Grande, ebbe a dire: “L’ho trovata di legno, la lascio di
marmo”. Qui mi attende un altro scrigno prezioso: l’Ermitage, Peterhof e Mon
Plaisir, il villaggio Pushkin, la Nevskij Prospekt, i magnifici edifici storici
affacciati sulla Neva; e vedrò, nelle white nights, la luce morbida del
crepuscolo invadere il cielo di velluto rosato finché l’alba non alzerà il suo
velo chiaro.
Rita Frattolillo©2014 Tutti i diritti riservati
In condizioni ideali si preferirebbe l'argento all' oro ed in condizioni ideali si scriverebbe il nome dei Santi con la S maiuscola. In condizioni ideali gli attacchi di guerra contro una Chiesa Ortodossa sarebbero ridotti al minimo. Per ottenere le condizioni ideali si dovrebbe rivedere la teologia.
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