Capitale
fin dal 1256 del
Portogallo, che conta 10 milioni e
mezzo di abitanti, ed è stato monarchico
fino al 1910, Lisbona era considerata una “insenatura vivente” dai Fenici che vi
si insediarono, seguiti dagli Arabi e
poi dai Romani. La città di oggi, con i suoi 600mila abitanti - che con
l’area metropolitana diventano 2 milioni 300mila - rispecchia fedelmente nel
melting-pot l’incredibile mescolanza di popoli, culture e idiomi diversi qui
approdati grazie alla sua storia di impero coloniale. In tutto il globo, il
portoghese è parlato da 210milioni di
persone, il che ne fa la quinta lingua più diffusa al mondo. Il Portogallo, che
è entrato nella UE nel 1986, ha maturato
quindi per le sue ragioni storiche il processo di assimilazione dello
straniero, e sarebbero del tutto incomprensibili i rigurgiti di becero
razzismo a cui assistiamo quasi
quotidianamente in Italia senza neanche meravigliarci più di tanto. Figurarsi
se i nostri xenofobi vedessero il loro stadio come l’Arena lisbonese con le
mezze lune arabe sulla cima delle cupole! Una buona sintesi di questo
melting-pot mi sembra rappresentata dalla pacifica convivenza di colombi,
fenicotteri e gabbiani che intravedo svolacchiare a pelo d’acqua sulla distesa
liquida del grande fiume Tajo. Fiume che, fondendosi nell’abbraccio senza fine
dell’Oceano Atlantico, diventa salato come questo, e si colora di azzurro come
le azulejos che vestono i palazzi e gli interni delle case.
Il respiro dell’acqua su cui Lisbona è
protesa come una splendida terrazza, si sente nel forte sbalzo termico, e nelle
folate di vento che improvvise scompigliano i capelli e le vesti. Ma per
immergersi nel suo azzurro occorre calpestare le dune sabbiose frustate dal
vento oceanico che corre a 175 km e arse dal sole implacabile, dove attecchisce
solo un manto di piante grasse scure come ciocchi di Natale. Contro la
scogliera frastagliata a strapiombo si gettano senza sosta le onde furiose
dell’oceano. Questa dell’Estremadura è la punta più occidentale dell’Europa, il
Promontorium magnum dei Romani, il Cabo da Roca; dove i turisti giapponesi si
fanno fotografare sorridenti davanti alla scritta del grande poeta lirico Luis
de Camoes “Aquì donde a terra se acaba e
o mar começa”. E dove i più esigenti pretendono il certificato di presenza,
da esibire come un cimelio al loro ritorno.
Ma il Cabo da Roca, ci informa la guida, è anche un’attrazione fatale per
aspiranti suicidi, qui come alla Boca do Inferno: un orrido di scogli anneriti
dove l’acqua è penetrata scavando gallerie e antri; da queste parti gira una
storia su Fernando Pessoa, uno dei numi tutelari di Lisboa, che incontro seduto
nella sua bronzea immobilità davanti al
suo bar preferito, il “Brasileiro”.
Nato nel 1888 e morto nel 1935, le sue spoglie
riposano dal 1985 nello straordinario monastero dei Jeronimos, eretto sul viale
che costeggia il fiume Tajo.
Pessoa,
primo letterato portoghese a figurare nella prestigiosa collezione della
Pléiade, era un uomo enigmatico, morto ad
appena 47 anni per problemi epatici, mai sposato. Dotato di un certo humour, è
stato protagonista di qualche scherzo
macabro. Uno è inciso sulla pietra alla Boca do Inferno, dove un’iscrizione riproduce un messaggio secondo
il quale Augusta Ferreira Gomes, compagna di Pessoa, si sarebbe gettata nell’Oceano: “ Ano 14, sol
em Balança: Nao posso viver sem ti. Sett. 1930 (Non posso vivere senza te)”. In
realtà, era stato Pessoa, una passione per l’esoterismo, ad aver architettato
una burla con l’amico giornalista Ferreira Gomes e il mago inglese Aleister
Crowley (1875-1947). Quando la polizia trovò un portasigarette e un bigliettino
sul bordo della Boca, pensò al suicidio
dell’inglese, e Pessoa, che lo aveva incontrato qualche giorno prima a Lisboa
(1930), venne interrogato, con il sospetto di averlo ucciso e gettato
nell’oceano. Per fortuna si evitò il peggio, perché il mago, poco dopo,
ricomparve a Londra, e Pessoa poté essere scagionato.
Vissuto dalla nascita alla giovinezza a Durban
(Sudafrica) e poi trasferitosi con la famiglia a Lisboa, fu traduttore
dall’inglese, sua lingua madre, dal portoghese e dal francese, e corrispondente
commerciale in queste tre lingue. Poeta
e scrittore, è famoso per la sua singolare creazione estetica, l’invenzione
degli eteronimi, che sono personalità dei suoi romanzi aventi una propria
identità, con data di nascita e di morte, e una vita diversa da quella del loro
autore. Prima di lui era stato Balzac, con la sua Comédie Humaine, a creare personaggi “indipendenti” dal loro
autore.
Attraverso i tre eteronimi più famosi,
Alvaro de Campos, Alberto Caerio, Ricardo Reis, Pessoa sviluppa riflessioni
sulle relazioni intercorrenti tra verità, esistenza, identità, ma lascia
quest’ultimo senza data di morte. Cosa di cui approfitta il Premio Nobel 1998 Josè
Saramago (morto nel 2010) quando lo sceglie come protagonista del suo libro L’anno della morte di Ricardo Reis.
Cercare la casa “Dos bicos” di Saramago
, che si trova nell’antico e popolare quartiere arabo di accesso alla città,
Alfama, che vuol dire “Terme, sorgente”, significa tuffarsi in una comunità
dove convivono da secoli ebrei, arabi e cristiani. Trovarla non è difficile,
per via di un ombroso ulivo centenario. Oggi
accoglie la Fondazione Saramago. In alto, verso la cima dell’Alfama, torreggiano le cupole
del Pantheon nazionale, che è la chiesa di Santa Engraçia.
Qui
sono sepolti navigatori come Pedro Alvarez Cabral, letterati come Aquilino
Ribeiro (1885-1963), eroi della libertà come Humberto Delgado (1906-1965),
generale dell’aeronautica, oppositore della dittatura di Salazar, candidato
presidente della Repubblica nel 1958,
ucciso in una imboscata. La sua morte fu determinante per l’instaurazione del
regime democratico, nell’aprile 1974.
L’unica donna tumulata nel Pantheon è la grande cantante di fado Amalia Rodrigues
(1920-1999), la cui casa è un museo
molto frequentato dai turisti e dai fan della fadista, che contemplano ammirati
i suoi abiti di scena, i ventagli e i gioielli preziosi, i cartelloni degli
spettacoli. A quindici anni dalla sua morte, la Rodrigues è ancora molto amata,
come testimonia il monumentale fascio di
fiori che troneggia davanti alla sua tomba. Ma di fado, per le strade e le
piazze di Lisboa, se ne sente poco, la città ha fretta di svecchiarsi, è molto
meno “antigua”, e guarda avanti con determinazione.
Come è accaduto per altre città, anche
qui l’Expo del 1998, con i 146 Paesi
partecipanti e gli 11 milioni di visite, è stata un’occasione imperdibile per una
nuova fisionomia urbana. A Lisbona si è fatto ben più del maquillage a un ex
quartiere rurale, Alameda, che si è visto arricchito da padiglioni, viali, giochi
d’acqua, grattacieli trasparenti, impianti sportivi, il grande shopping center,
le Twin towers, la torre Vasco Da Gama (145m, simile all’albero di una nave),
l’oceanàrio (acquario). Tutto è stato fatto per trasformarlo - con successo -
in un’area avveniristica.
Ma se grande è stata questa
trasformazione, che ha investito la zona orientale della città, si deve ad una
sciagura naturale il mutamento del volto della capitale lusitana, grazie ad un
geniale statista. Dopo il terremoto, il maremoto e gli incendi che decimarono
nel 1755 i 275mila abitanti, fu il marchese de Pombal, ambasciatore e ministro
di re Joao, a far rinascere la città e
la speranza con determinazione e pugno di ferro (l’allegoria del leone che lo
affianca nel gruppo statuario che lo raffigura parla chiaro). Diede per prima
cosa il via alle costruzioni antisismiche a gabbia, e le volle dello stesso
stile, stessa altezza. I maligni ripetono ancora oggi che era lui il vero re,
ma sta di fatto che il marchese non si fermò davanti a niente, cacciò i
gesuiti, denominò il vino Porto, decise
anche il tipo di pavimentazione a calçada, sfruttando il calcare e il basalto
delle Azzorre come meglio non si poteva, con motivi musivi a fiori e greche di
grande effetto prospettico che ammiriamo ancora oggi. Nel suo palazzo
seicentesco, secoli dopo, nel 1969, è stata allestita la collezione privata del
collezionista e finanziere armeno Calouste Gulbenkian (1869-1955), che si
divideva tra Parigi, Londra e Lisbona. In quegli stessi anni è stato appositamente
costruito il museo che, all’interno del grande
parco Gulbenkian, accoglie opere
straordinarie e rare di arte egizia, persiana, assira, cinese, giapponese,
francese, italiana, inglese. Una sala del museo-Fondazione è dedicata ai
gioielli da favola creati da René Lalique, grande amico dell’armeno.
Al marchese de Pombal è giustamente intitolata
una delle piazze più grandi di Lisbona, dove la sua statua troneggia sull’alto
fusto della colonna marmorea. Da lì si dipartono, come a Place de l’Etoile, larghi
viali alberati a raggiera che attraversano i quartieri inerpicati sulle sette
colline dove è adagiata Lisbona, similmente a Istanbul e Roma.
In cima, dopo una corsa in tram
sfenestrati e ventilatissimi, si gode la vista del castello San Jorge, con le
sue undici torri, costruito dai Mori nell’XI secolo allo scopo di ospitare la
guarnigione militare e, in caso di assedio, le élites che vivevano nell’alcazaba
(cittadella). E’ dedicato al santo guerriero da quando la regina inglese ne volle
introdurre il culto. La prima invasione araba, nel 711, segnò per secoli il
destino del Portogallo. Le lunghe lotte per cacciare i Mori richiesero a un
certo punto l’ausilio dei Crociati stranieri e dei Cavalieri Templari, il che conferì
un sapore di proselitismo religioso al desiderio di difesa, ma anche di conquista,
dal momento che crociati e templari invasero la Terra Santa. Tuttavia i
conflitti promossi contro le nazioni islamiche non impedirono gli scambi
commerciali, e il trasferimento in Portogallo di scienziati e matematici arabi
portò alla creazione di centri di ricerca, vera fucina di sviluppo delle
tecnologie navali.
La precoce esplorazione marittima da
parte dei portoghesi ebbe inizio per aggirare le difficoltà messe in piedi dai
vicini di casa. L’aperta ostilità di castigliani e aragonesi impediva infatti gli scambi
commerciali via terra con il resto dell’Europa, in particolare con le Fiandre e
con le città della Lega Anseatica. Lo sviluppo della marineria, quindi, dovuta
in gran parte agli arabi, espanse a poco
a poco il potere dei regnanti oltremare.
Il
primo grande navigatore fu il principe Enrico (1400), capo dei Cavalieri
Templari, che mise a disposizione dei suoi capitani enormi risorse finanziarie
e le carte nautiche di cui poté venire in possesso. Purtroppo avviò anche la
trista era del commercio degli schiavi, ma si deve a lui l’inizio della
fortificazione di tutta la costa portoghese, che è lunga 600 km, e interamente costellata
di fortezze erette a difesa del Paese. Tra esse, la più scenografica, nonché
porta cerimoniale della città, è sicuramente
la Torre di Belem (Betlemme), che si erge nel Tago, vicinissima alla
riva, a poca distanza dal monastero dei Jeronimos.
Dopo la morte di Joao I (1456-1495), l’impresa della sua costruzione
fu portata a termine da re Manuel I(1514-1519). Siamo agli inizi del 1500, e il
lavoro fu affidato agli architetti Francisco de Arruda e Diego de Boitaca,
quest’ultimo architetto anche del vicino monastero. Esempio lampante dello stile manuelino, la torre
è una trina, stracarica di garitte e
torrette sormontate dalla croce, e di merli, scolpiti a forma di scudo con la
croce in campo. Vi si accede dal piccolo ponte levatoio. All’interno varie
stanze, cortile, celle per i prigionieri, gargouilles zoomorfe. Nel tempo, la torre
servì da dogana, telegrafo, e naturalmente da faro. Il 4-4-1846, essendo regina
Maria II e ministro della guerra il duca di Terceira, la torre fu ristrutturata
e riportata alla sua forma primitiva. Una curiosità che raccontano riguarda l’arrivo di un
rinoceronte destinato al Papa Leone X; la nave naufragò, e la carcassa del rinoceronte servì da modello per una
gargouille, e ad Albrecht Durer per una
incisione. Intorno alla Torre, e fino al monastero, molte donne tentano
di vendere mantiglie e foulard di velluto coloratissimi.
Il monastero dos Jerònimos si erge in
tutto lo splendore dello stile manuelino, un misto di tardo gotico, arabo, fiammingo
e rinascimento. Secondo la leggenda, venne costruito sul luogo della chiesetta
in cui Vasco da Gama e il suo equipaggio passarono in preghiera la notte prima
della partenza per il viaggio che li portò alla scoperta della rotta per
l’India (1497-98) attraverso il superamento del Capo di Buona Speranza. Vasco è
stato chiamato l’ultimo navigatore, e in effetti la sua impresa, con quel che
ne seguì, con la colonizzazione delle coste dell’Africa, completò il lavoro
iniziato da altri, e ingigantì il prestigio dei re, sempre in accesa competitività
con gli spagnoli.
Qui nel 2007 è stato firmato il Trattato di
Lisbona, che riforma i trattati su cui si fonda l’UE. All’interno del monastero,
il tempio, prima espressione dello stile rinascimentale italiano rivisitato,
lascia senza fiato per la sontuosità e l’altissima crociera con fiori in pietra
che suggellano i nodi degli incroci. Oltre ai monumenti funebri reali, colpiscono
per la ricchezza de fregi e dei rilievi i due sarcofaghi di Luz de Camoes
(1524-1580), e quello di Vasco da Gama (che fu nominato viceré l’anno della
morte, nel 1524). Ancora oggi è vivo il ricordo nella popolazione di queste
due figure. A Vasco da Gama sono
intitolati viali, ponti, torri, centri commerciali, persino parcheggi. A
conferma che è sempre attuale la frase dello storico portoghese Alexandre
Herculano (1810-1877) : “Guardar a memoria, viver a història”.
Nessun commento:
Posta un commento