venerdì 15 luglio 2016

WLODEK GOLDKORN,"Il bambino nella neve", romanzo, Feltrinelli, 2016



Rita Frattolillo


    Lo scrittore polacco Wlodek Goldkorn,  che attualmente vive a Firenze dopo aver lasciato la Polonia nel 1968, è autore di diversi saggi sull’ebraismo e sull’Europa centro-orientale. Per anni responsabile culturale del settimanale “l’Espresso”, è una voce conosciuta nel panorama culturale italiano; ha intervistato scrittori importanti, premi Nobel, artisti, e ha narrato molte storie, ad esclusione di quella sua. La  storia di un bambino, nato nel 1952 da genitori ebrei  militanti comunisti sfuggiti nel 1939 agli orrori delle seconda guerra mondiale, che è cresciuto nel vuoto di una memoria familiare – quella delle deportazioni e degli eccidi di sei milioni di ebrei – indicibile ma impossibile da dimenticare. Diventato nonno, però, Wlodek si trova di fronte al dilemma di come trasmettere ai bambini la memoria di un passato inenarrabile,  temendo di non saper rispondere alle  loro domande sul  loro essere ebrei, sulla Shoah, sui perché – tutti esecrabili - di vicende tanto orribili.

Ecco perché 50 anni dopo ritorna  là dove era nato e aveva trascorso la sua infanzia, a Katowice (antica capitale della Slesia, terra delle miniere e dell’acciaio), per ritrovare la memoria del suo passato inabissato dall’apocalisse del conflitto mondiale, e mai rivissuto nel ricordo. Adesso, dunque, lascia Firenze e si accinge al grande viaggio nella speranza di trovare le risposte che cerca. Rivedendo strade piazze e il grande immobile dove viveva con la sua famiglia, emerge alla soglia della mente l’intreccio degli affetti familiari e amicali,  smembrati dalla folle violenza dei campi di concentramento. Si ricompone così il mosaico dei volti e delle voci scomparsi dalla memoria: i compagni di scuola, gli amici d’infanzia, di cui alcuni, non sopportando la vita, si sono in seguito suicidati.
 Percorrere quei luoghi gli fa tornare a galla brandelli di esistenze difficili, squarci di vicende sofferte e laceranti, generazioni di giovani promesse annientate dalla vita. I ricordi, inizialmente frammentari, a poco a poco ricostruiscono l’atmosfera, gli eventi, i personaggi che hanno dato il senso alla sua vita, restituendo al lettore la “vera” - se si può dire così - realtà di quanto accaduto durante la “soluzione finale” in cui trovarono la morte molti suoi familiari, tra cui l’adorata nonna Taube, l’unica di cui l’A. porta la foto nel portafogli. 
Davanti agli occhi della mente riemergono quindi, in questo gioco della memoria, episodi della quotidianità intrecciati ai grandi eventi storici del secondo dopoguerra, come il processo di Francoforte (1963, P.M. Fritz Bauer) contro alcuni degli aguzzini di Auschwuitz, e  apre spiragli sulle dinamiche socio-politiche dell’Est Europa.
Intraprende  - senza paura di spingersi nel buio più nero del Novecento - questo pellegrinaggio doloroso che lo porta in tutte le zone dove erano stati costruiti i campi, anzitutto Auschwuitz, che l’A. considera il cimitero di famiglia, perché è lì che sono stati inghiottiti nel buco nero della Storia quasi tutti i suoi cari, nonni, zie, cugine, gli eroi e tante altre vittime della tragedia.
 La domanda che più lo travaglia  è quale valore dare alla memoria, che se non serve a “rivendicare i torti patiti, a chiudersi in un recinto della propria comunità”, è buona per farne un uso poltico, nel senso che per lui “la memoria significa (…) dare l’allarme quando sento odore del razzismo”.
Il formidabile tema della memoria, declinato in tutte le sue sfaccettature, torna, quasi angoscioso leit-motiv, in molte pagine dell’assorto romanzo, che non è soltanto romanzo, trattandosi di una fitta ragnatela in cui trovano posto  profonde, imperdibili riflessioni, e dove rivivono i gesti, i momenti, le storie della famiglia e di personaggi come  Marek Edelman, suo maestro di vita. 
 Il bambino nella neve è molto più di un romanzo, perché l’A. si fa carico di ricostruire,  ricorrendo a sequenze discontinue,  la Storia della Polonia, della sua gente- in particolare ebrea -, dei suoi poeti, dei suoi attivisti, dei suoi esponenti politici, della sua lingua, e anche qui – quando, ad esempio, parla dell’yiddish e della polonizzazione linguistica - sono pagine scritte da un intellettuale fuori dal comune che aprono scenari inusitati di grandissima, lancinante riflessione.
 Una dopo l’altra si susseguono le “visite” in tutti i campi di concentramento e in tutte le “fabbriche della morte”, quelle cioè  dove gli ebrei scesi dal treno nel giro di due ore erano già stati sterminati nelle camere a gas o nei forni creamatori.
L’impatto di chi legge  è fortissimo perché, oltre ad arrivare a conoscere “particolari” talmente raccapriccianti che la mente rifiuta di accettarli, il registro linguistico deciso dall’A.  – che guarda con amaro disincanto - rifugge decisamente da quella che chiamerei  la“ mistica” della Shoah,  quell’aura di sacralità che sempre circonda e incombe sull’ atroce genocidio degli ebrei.
E quasi fino alle ultime pagine il protagonista è ancora quello che lui  definisce”spazio vuoto”, cioè la memoria. Eppure -  afferma Goldokorn – quei vuoti vanno riempiti, se no “che ci facciamo in questo mondo, noi figli della Shoah?”
Quel vuoto va “riempito  con una sostanza, un misto di emozioni e di razionalità che chiamiamo memoria. Salvo il fatto che la memoria è un’invenzione (…) ognuno se la costruisce come vuole”. Per cui “ la memoria non è né può essere condivisa da un’intera generazione, in quanto strumento politico e scelta esistenziale. Riguarda ognuno di noi, personalmente”.
E proprio perché lui cerca di “comprendere, non cede alla vendetta”, ecco il viaggio di ritorno: Cracovia, Varsavia, Auschwitz, Belzec, Sobibor, Treblinka, in definitiva un viaggio nella memoria –appunto – da ricostruire, ma anche da proiettare nel futuro. Un futuro che per lui è ormai presente, e che vive con la forza morale di chi “non è vittima, ma soggetto della storia, capace di rivolta e di discernere dove sta l’essenza del “nostro essere al mondo”.

Rita Frattolillo © tutti i diritti riservati 2016





















Nessun commento: